Questo blog è nato una ventina di anni fa! Ha fatto a cazzotti con i primi guestbook, i primi "siti", con i vari forum ed oggi è bullizzato dai social molto più "veloci" e alla moda.. ma tutto sommato, nonostante mille cose successe, qualche cicatrice e gli acciacchi del tempo, rimane ancora in piedi! Respect!

27 dicembre 2010

La carità può uccidere? Verso un nuovo concetto di solidarietà - repubblica.it

Non sarà sfuggito ai lettori il titolo provocatorio del libro dell’economista africana Dembisa Moyo (la carità che uccide). Diciamo innanzitutto che si tratta di una traduzione non corretta del titolo inglese (dead aid) che vuole significare che un certo modo di intendere gli aiuti ha fatto il suo tempo. Gli argomenti dell’autrice sono però interessanti e toccano un problema vero.

Un certo modo di intendere la solidarietà rischia di alimentare la cultura dell’accattonaggio. Crea un legame vizioso tra donatore e ricevente favorendo il perpetuarsi dei due ruoli, non promuovendo il riscatto e la “dignificazione” del secondo in una logica perversa per la quale sembra quasi che per la gratificazione e la consolazione del donatore sia necessario che il ricevente resti nella propria condizione di subordinazione ed inferiorità.

In realtà andrebbe capovolta la prospettiva: se vogliamo il bene di qualcuno dobbiamo chiedergli qualcosa in cambio perché promuovere dignità ed inclusione vuol dire mettere una persona in condizioni di essere un cittadino come gli altri con diritti ma anche doveri verso la collettività.

Se ci pensiamo ciò che rende felice il donatore è la sua possibilità di compiere azioni di gratuità e di solidarietà. Se il donatore desidera il bene del ricevente deve pertanto metterlo il prima possibile in condizione di fare lo stesso.

Da questo punto di vista iniziative come la microfinanza o il commercio equosolidale vanno nella giusta direzione. Forniscono opportunità di riscatto ed inclusione chiedendo però una contropartita e ponendosi come obiettivo quello di promuovere la capacità di creare valore economico dei riceventi. E’ evidente che, date queste caratteristiche,  possono rivolgersi soltanto a coloro che hanno la possibilità di rendersi utili alla collettività e di camminare sulle proprie gambe. 
Cosa ne è dunque per quelli che non lo sono? In realtà iniziative di questo tipo producono i risultati migliori anche per questa seconda categoria di persone. Se il meccanismo funziona infatti si crea valore economico in loco che può essere poi redistribuito ai soggetti non in grado di essere produttivi.

di Leonardo Becchetti, La felicità sostenibile

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