Sono tornato da pochi giorni e molti miei amici mi chiedono "allora-come-è-andata?". E' una domanda breve e semplice ma che però raccoglie davvero un intero continente. Infatti così, su due piedi, non so mai cosa rispondere, o meglio non so mai da dove cominciare a rispondere! Ancora prima di farlo infatti, ti ritrovi di colpo, di nuovo, in aeroporto; dopo aver fatto centinaia di km, su un pick-up con un gruppo splendido, dopo mille incontri, dopo aver visitato centinaia di bambini, goduto di infiniti sorrisi, dopo aver stretto decine e decine di manine.
Un giorno poi ti svegli, fai l'ultima colazione, bevi l'ultimo squisito caffè locale, ti godi l'ultimo calore, respiri, durante l'ultimo tragitto che ti fa scivolare lentamente sull'aereo, gli ultimi eucalipti, gli ultimi falsi banani e sali in aereo. Addis Abeba, Khartoum; ti addormenti passano sei ore e non te ne accorgi. Amsterdam, un altro aereo, ti addormenti di nuovo, arrivi ben presto a Milano, senti le ruote fischiare strizzi gli occhi e ti stiracchi e ti senti triste e felice allo stesso tempo.
Per un attimo pensi a quanto sia facile attraversare il mondo nel giro di poche ore. Sorvolare centinaia e centinaia di dialetti locali, culture, miti, guerre, piatti, persone, odori, armi, colori.
Sai che ti vengono a prendere all'aeroporto, ritrovi il gelo, la nebbia, gli ultimi saluti, rivedi finalmente persone che ami. Ed in quel momento ti accorgi di aver rinchiuso, senza non poche difficoltà, nel disordinato ripostiglio della mente, un grande e bellissimo baule stracolmo di pensieri, immagini, sorrisi, manine. E vorresti prenderlo e portarlo in salone, davanti al camino, per poi aprirlo e donare tutto il suo ricco ed inestimabile contenuto alle persone che vuoi bene ma non ci riesci perché non trovi la chiave o non sei in grado di spostarlo perchè dannatamente troppo, troppo pesante. Avresti bisogno di una mano.
O forse hai semplicemente paura ad aprirlo per i più svariati motivi.
Perchè capisci che forse non è arrivata ancora la sua ora.
Eppure oggi mi sento che la sua ora è ben presto vicina. Ecco perchè vorrei scrivere di quelle centinaia di manine, di quei sorrisi, dell'incredibile potere che riempe un palloncino o che circonda una Barbie. Di quella bambina e delle sue ginocchia, di quel corpicino flaccido ma vivo che ha imparato a sollevarsi e resistere da solo, nonostante tutto, che mi ha insegnato più di qualsiasi altra cosa al mondo. Vorrei parlare di tutto ciò che ho ricevuto, di quei suoi valori inestimabili. Vorrei scrivere dell'infermiera Hanna, di Padre Felice e della sua "avventurosa" vita da missionario, del suo incontro con Madre Teresa di Calcutta, della Signora Almaz e del suo orfanotrofio; di quella sua straordinaria idea venutale durante la guerra e di tutti i suoi bambini raccolti nelle tenebre dell'abbandono, dove troppo spesso nel sud del mondo la vita scivola troppo facilmente e successivamente riconsegnati alla gioia dell'esistenza, all'amore; e non importa se ciò è accaduto poi dall'altra parte del pianeta.
Vorrei scrivere della gente, delle loro storie, di quella umanità, di quei modi; semplici, umili, intensi.
Non so se ci riuscirò. Tra uno scioglilingua e l'altro io intanto continuo a cercare la chiave; il baule si trova già al centro del salone, il camino è acceso, gli amici sono tutti invitati.
Un giorno poi ti svegli, fai l'ultima colazione, bevi l'ultimo squisito caffè locale, ti godi l'ultimo calore, respiri, durante l'ultimo tragitto che ti fa scivolare lentamente sull'aereo, gli ultimi eucalipti, gli ultimi falsi banani e sali in aereo. Addis Abeba, Khartoum; ti addormenti passano sei ore e non te ne accorgi. Amsterdam, un altro aereo, ti addormenti di nuovo, arrivi ben presto a Milano, senti le ruote fischiare strizzi gli occhi e ti stiracchi e ti senti triste e felice allo stesso tempo.
Per un attimo pensi a quanto sia facile attraversare il mondo nel giro di poche ore. Sorvolare centinaia e centinaia di dialetti locali, culture, miti, guerre, piatti, persone, odori, armi, colori.
Sai che ti vengono a prendere all'aeroporto, ritrovi il gelo, la nebbia, gli ultimi saluti, rivedi finalmente persone che ami. Ed in quel momento ti accorgi di aver rinchiuso, senza non poche difficoltà, nel disordinato ripostiglio della mente, un grande e bellissimo baule stracolmo di pensieri, immagini, sorrisi, manine. E vorresti prenderlo e portarlo in salone, davanti al camino, per poi aprirlo e donare tutto il suo ricco ed inestimabile contenuto alle persone che vuoi bene ma non ci riesci perché non trovi la chiave o non sei in grado di spostarlo perchè dannatamente troppo, troppo pesante. Avresti bisogno di una mano.
O forse hai semplicemente paura ad aprirlo per i più svariati motivi.
Perchè capisci che forse non è arrivata ancora la sua ora.
Eppure oggi mi sento che la sua ora è ben presto vicina. Ecco perchè vorrei scrivere di quelle centinaia di manine, di quei sorrisi, dell'incredibile potere che riempe un palloncino o che circonda una Barbie. Di quella bambina e delle sue ginocchia, di quel corpicino flaccido ma vivo che ha imparato a sollevarsi e resistere da solo, nonostante tutto, che mi ha insegnato più di qualsiasi altra cosa al mondo. Vorrei parlare di tutto ciò che ho ricevuto, di quei suoi valori inestimabili. Vorrei scrivere dell'infermiera Hanna, di Padre Felice e della sua "avventurosa" vita da missionario, del suo incontro con Madre Teresa di Calcutta, della Signora Almaz e del suo orfanotrofio; di quella sua straordinaria idea venutale durante la guerra e di tutti i suoi bambini raccolti nelle tenebre dell'abbandono, dove troppo spesso nel sud del mondo la vita scivola troppo facilmente e successivamente riconsegnati alla gioia dell'esistenza, all'amore; e non importa se ciò è accaduto poi dall'altra parte del pianeta.
Vorrei scrivere della gente, delle loro storie, di quella umanità, di quei modi; semplici, umili, intensi.
Non so se ci riuscirò. Tra uno scioglilingua e l'altro io intanto continuo a cercare la chiave; il baule si trova già al centro del salone, il camino è acceso, gli amici sono tutti invitati.
2 commenti:
Nessuno di noi si stancherà mai di farti quella semplice domanda "com'è andata", a volte si spera tu riesca a raccontare tutto subito a farci entrare con la mente in quei posti in mezzo a tutte le storie che hai vissuto... non è facile... tutti noi forse pretendiamo troppo, io sicuramente. Ho capito però che se mi soffermo e ti guardo attentamente, i tuoi occhi che brillano, il tuo sguardo perso chissà in quale momento, possono dire tutto, molto di più di un miliardo di parole dette in mezzo al frastuono di persone che vivono la loro vita, di altri che sentono ma non "ascoltano"... nei tuoi occhi si specchiano quelle manine, quegli occhioni curiosi di tutti i tuoi bimbi... non smettere mai di farli brillare, non smettere mai di crederci.
Grazie del commento, cercherò di seguire i tuoi preziosi consigli! Tranquilli che io non mi stancherò mai di rispondere a quella semplice domanda..sia ben chiaro! ciao!!
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