I miei amici sono straordinari. Veramente.
Hanno raccolto diverso materiale e me l'hanno donato prima di partire.
Tutto è stato poi diviso e reso ai bambini, alle Suore.
Quaderni, biro, pennarelli, vestiti, matite, giochi, palline....
Non smetterò mai di ringraziarli, di cuore.
E con il cuore, stasera, vi parlo di Sunneth.
Perchè se lo merita, perchè è stata davvero emozionante conoscerla,
e perchè le voglio fare un regalo.
Come lei ha fatto a me, senza nemmeno saperlo.
La ricordo quindi così, stanotte, un sabato notte strano, dove sono reperibile fino alle sette del mattino, mischiando i pensieri di allora, perlopiù segnati su di un taccuino, con quelli di stanotte, perlopiù nostalgici e ricchi di affetto.
"Sunneth è rimasta presto tragicamente sola. Qui non sembra nemmeno tanto strano. La vita scorre semplice in modo lento, i padri scappano, le madri muoiono, i bambini nascono e a loro, qualcuno, prima o poi, penserà...se non Dio, le sue Sorelle o qualche giovanotto d'un Padre caritatevole. Cosi le Madri con Sunneth, semplici e leggere, la proteggono meravigliosamente. Ed è in questo modo che l'Africa da milleni non si spaventa nè sorprende. Mai. "
Scrivevo una notte prima di addormentarmi a Mendiidaa, paese poverissimo d'Etiopia. Dopo cena. Dopo aver guardato il cielo infinitamente stellato d'Etiopia, gustato il tipico caffè locale, assaporato dei buon liquori, dopo una partita a carte, due risate, qualche racconto.
La ricordo bene Sunneth. Ci ho giocato tanto; con una piccola pila luminosa, nel buio delle stanze, a rincorrere la luce prima di cenare, o nello stanzone giocando a calciare la pallina donata dai miei amici della pubblica mentre Suor Sandra affettava i salumi che ci avrebbe poi offerto a cena; Ci giocavo nel cortile, facevamo un cerchio con le braccia e cercavamo di centrare il buco lanciando sempre la stessa pallina, correndo (siamo entrambe caduti), battendo le mani, facendole ascoltare Stevie Ray Vaughan prima di dirle addio, prima di abbracciarla forte, un'ultima volta.
Bimba furbissima Sunneth, un sorriso bellissimo, come tutti i bambini del resto visitati. Sveglia, vivace, giocherellona, molto divertente, con due occhietti rapaci, purtroppo abbandonati.
E' sola da quando si è ferita gravemente e da allora ha perso tutto.
Eppure, prima dell'incidente, Sunneth aveva qualcuno, qualcosa; una madre, un padre, dei fratellini, una famiglia, una casa.
Dopo l'incidente, non ha avuto più niente, più nesuno, ed è rimasta completamente sola.
Per prima è stata la mamma a lasciarla, poi il papà e con lui i fratellini, di conseguenza la casa.
Sono arrivate le suore, le ferite, le cicatrici e con esse le medicazioni costanti due volte al giorno, mattina e sera e la grande casa-scuola, quest'ultima talmente grande da perdersi.
Sunneth in quella scuola ora ci vive, protetta e cresciuta dalle Sorelle; una casa con tante mura, tantissimo spazio, una bellissima chiesa, un campanile, un orto, un recinto con le bestie, dei garage, una "falegnameria", una clinica locale, un'altra in costruzione, degli appartamenti per i visitatori ed i missionari, e poi le aule, così tante da contenere centocinquanta, duecento bambini durante le ore di lezione, mattina e pomeriggio.
Ed una grande, grandissima palma all'interno del cortile.
Ora le rimangono le Madri, la sua nuova famiglia e tanti fratellini e sorelline, i compagni di scuola; Le rimangono le cicatrici. Per sempre.
Vastissime, costantemente da medicare; In attesa di sistemarle definitivamente con un intervento chirurgico.
Di Sunneth mi ha colpito la vivacità, la dolcezza, la voglia di giocare.
Di vivere, resistere.
Di lei custodisco due foto.
Una di queste gliel'ho scattata per caso e, sempre per caso,
quella foto, l'ho rivista poi l'ultima notte trascorsa in Etiopia.
Non riuscivo a dormire, fuori dalle stanze c'era un chiasso infernale, nonostante erano quasi le due o forse tre del mattino.
Per far passare il tempo quindi, decido di riguardarmi qualche foto scattata durante il viaggio.
Ed è così che Sunneth, inconsapevomente, senza nemmeno saperlo, mi ha fatto un regalo magnifico prima di ritornare in Italia.
La considero la più bella foto che ho fatto, dell'intero viaggio.
Stasera leggo sul taccuino ciò che ho scritto di quella foto,
di quel momento, di quella notte:
"...porta sempre i pantaloni, sotto la gonna,
per proteggere in qualche modo le ferite.
Sopra la testa, una grande palma al centro del cortile,
una vecchia ma tenace madre, l'Africa,
per proteggerla, in qualche modo, dal resto.
Da violenti ricordi, da speranzosi futuri.
Da cio' che le rimane."
1 commento:
molto bello con questa canzone in sottofondo..
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