la banchina

Verso mezzanotte entrò in ambulatorio un uomo robusto, sulla cinquantina, molto educato, alto, con una fitta barba grigia, stempiato e con delle grandi occhiaie.
Accusava uno strano bruciore di stomaco.

Si presentò da solo. Indossava una semplice tuta.

Ci disse che sua moglie non aveva più voglia di accompagnarlo, aggiunse che essa stava impazzendo e che non lo ascoltava più.
Fece poi un lungo sospiro; Gli occhi allora si fecero improvvisamente rossi e si gonfiarono, ma non scesero lacrime.
Ci sembrò cupo, agitato, pensieroso.

Poco dopo capimmo tutto.

Quando contammo tutti i pronto soccorsi che vi si trovavano prima di arrivare al nostro, almeno cinque o sei, rispetto al suo luogo di provenienza.

Quando, sdraiato sul lettino, rimase a fissarmi per lunghissimi ed interminabili secondi per poi chiedermi, con voce tremante, l'età.

Quando ci tornò in mente sua moglie, la quale perse il suo unico figlio di ventotto anni appena. Morto schiacciato a causa di una tragica manovra sotto un trattore, davanti agli occhi del padre.

Quel medesimo uomo persosi disperatamente negli oceani infiniti e burrascosi del dolore e giunto quella sera da noi, intento ad attraccare, per la prima volta, alla nostra banchina.