Oggi ricorre il Giorno della Memoria. Sembra essere passata una vita da allora ed il tempo, le mode, la velocità degli eventi e della vita assumono, quasi senza volere, per inerzia, la fastidiosa quanto nauseante capacità di offuscare e obliare cosa sia successo. Da una parte e dall'altra s'intende. Lentamente..lentamente, soprassedere giorno dopo giorno, con la mente punzecchiata, fastidiosamente, anno dopo anno da vecchi documentari, foto in bianco e nero, testimoni estinti, voci morte registrate. Con il rischio di dimenticare, un giorno, e rimanere indifferenti.
Eppure ci sono ancora degli "occhi" in giro, fra tutti noi, che hanno vissuto e guardato quegli orrori. Sono occhi stanchi, di persone sopravvissute, di persone che si sono rimboccate le maniche ed hanno ricominciato, ricostruito. Ho già scritto, in un mio precedente post ( 7 Giugno 2010 - La città dei Mille Bianchi Velieri ), di quanto rimango colpito nell'ascoltare i racconti di chi ha fatto la guerra, le loro testimonianze, oggi. Quella voglia di ricordare il conflitto; La fame, le deportazioni, i bombardamenti. Un anziano del '20 o del '30, è assai difficile sentirlo parlare di tutto ciò che c'è stato dalla guerra ad oggi. Per loro c'è stata solo la guerra, da ricordare ed imprimere fortemente nelle menti dei giovani. E tutto poteva essere usato da pretesto per raccontarcela la guerra: un capriccio, una spesa eccessiva, un gioco rotto, una camminata, uno snack al cioccolato in più o una coperta, un vestito in meno.
In -La città dei Mille Bianchi Velieri- scrivevo:
"..la guerra. Come per tutti gli anziani che conosco, la guerra è un ricordo così impresso nelle loro menti, che quando la raccontano, non sembrano quasi esserci stati cinquant'anni a oggi.
Non sembrano quasi esserci mai stati gli anni '60, '70, '80.
Eppure ci sono ancora degli "occhi" in giro, fra tutti noi, che hanno vissuto e guardato quegli orrori. Sono occhi stanchi, di persone sopravvissute, di persone che si sono rimboccate le maniche ed hanno ricominciato, ricostruito. Ho già scritto, in un mio precedente post ( 7 Giugno 2010 - La città dei Mille Bianchi Velieri ), di quanto rimango colpito nell'ascoltare i racconti di chi ha fatto la guerra, le loro testimonianze, oggi. Quella voglia di ricordare il conflitto; La fame, le deportazioni, i bombardamenti. Un anziano del '20 o del '30, è assai difficile sentirlo parlare di tutto ciò che c'è stato dalla guerra ad oggi. Per loro c'è stata solo la guerra, da ricordare ed imprimere fortemente nelle menti dei giovani. E tutto poteva essere usato da pretesto per raccontarcela la guerra: un capriccio, una spesa eccessiva, un gioco rotto, una camminata, uno snack al cioccolato in più o una coperta, un vestito in meno.
In -La città dei Mille Bianchi Velieri- scrivevo:
"..la guerra. Come per tutti gli anziani che conosco, la guerra è un ricordo così impresso nelle loro menti, che quando la raccontano, non sembrano quasi esserci stati cinquant'anni a oggi.
Non sembrano quasi esserci mai stati gli anni '60, '70, '80.
Se non glielo chiedi, è difficile infatti che ti raccontino spontaneamente del '68, degli anni di piombo, dei Beatles, della Tv, della ricostruzione fino al boom. Invece della guerra parlano spontaneamente. Come se ce l'avessero ancora dentro, nel sangue, come se ne fossero a tutt'oggi ancora contaminati, ancora ubriachi.
Come se ogni mattina questi grandi anziani, appena svegli, uscissero presto da casa, allontanandosi per pochi minuti dalla loro routinaria quotidianità, e si recassero a timbrare il biglietto dei loro intimi ricordi di guerra nella vecchia ed annebbiata fabbrica della memoria, dietro l'angolo, rimembrando tutte le atrocità di quei terribili giorni; Per poi tornare alla vita quotidiana e poterli raccontare a qualcuno. Alla moglie, ai propri figli, ai nipoti, alla badante, ad un ragazzo seduto sotto la basilica di Santa Maria Assunta di Camogli. Raccontare d'un mostro, trascinato fino ad oggi da ricordi resistenti alla vita, capace di rovinargli, irrimediabilmente, i migliori anni di essa."
Ricordo una sera di aver visto "L'uomo che verrà", film del 2009 diretto da Giorgio Diritti. Il commovente film racconta degli eventi antecedenti alla strage di Marzabotto visti attraverso gli occhi di una bambina di otto anni. Ricordo che il film mi toccò molto; quando poi il giorno dopo in ambulatorio giunse il Signor Armando, classe 1922, deportato in Germania, ne approfittai per fargli un sacco di domande.
Armando, gentilissimo, mi rispose commuovendosi; andò avanti a parlare per tanto..tanto tempo.
Mi disse che cosa era stata per lui la guerra.
Mi raccontò della sua gioia incontenibile dovuta all'arrivo degli alleati, di quando sentì fischiare le bombe lanciate su Berlino. La sua infinita paura, i suoi pianti ed il suo ritorno, gli amici uccisi. Il suo dolore quando scoprì del padre fucilato e del fratello scomparso in Russia.
Ma la cosa che più mi colpì, fu quando mi raccontò di un episodio accaduto in Germania e di un "alleato" in uniforme, forte, bello, spavaldo ed altezzoso; la gioia nell'incontrarlo, nel vederlo "divino" perchè suo salvatore, che si avvicinò a lui, prigioniero puzzolente, stanco e malato e che gli tolse le scarpe, rubandogliele per poi andarsene, lasciandolo inerme, steso, appoggiato alla parete; lasciandolo esterrefatto da tanta crudeltà.
<< Eh>>
Seguì una lunga pausa e poi un singhiozzo, un nodo alla gola, nel silenzio più assoluto,
<<Giovanotto...>>.
Come se ogni mattina questi grandi anziani, appena svegli, uscissero presto da casa, allontanandosi per pochi minuti dalla loro routinaria quotidianità, e si recassero a timbrare il biglietto dei loro intimi ricordi di guerra nella vecchia ed annebbiata fabbrica della memoria, dietro l'angolo, rimembrando tutte le atrocità di quei terribili giorni; Per poi tornare alla vita quotidiana e poterli raccontare a qualcuno. Alla moglie, ai propri figli, ai nipoti, alla badante, ad un ragazzo seduto sotto la basilica di Santa Maria Assunta di Camogli. Raccontare d'un mostro, trascinato fino ad oggi da ricordi resistenti alla vita, capace di rovinargli, irrimediabilmente, i migliori anni di essa."
Ricordo una sera di aver visto "L'uomo che verrà", film del 2009 diretto da Giorgio Diritti. Il commovente film racconta degli eventi antecedenti alla strage di Marzabotto visti attraverso gli occhi di una bambina di otto anni. Ricordo che il film mi toccò molto; quando poi il giorno dopo in ambulatorio giunse il Signor Armando, classe 1922, deportato in Germania, ne approfittai per fargli un sacco di domande.
Armando, gentilissimo, mi rispose commuovendosi; andò avanti a parlare per tanto..tanto tempo.
Mi disse che cosa era stata per lui la guerra.
Mi raccontò della sua gioia incontenibile dovuta all'arrivo degli alleati, di quando sentì fischiare le bombe lanciate su Berlino. La sua infinita paura, i suoi pianti ed il suo ritorno, gli amici uccisi. Il suo dolore quando scoprì del padre fucilato e del fratello scomparso in Russia.
Ma la cosa che più mi colpì, fu quando mi raccontò di un episodio accaduto in Germania e di un "alleato" in uniforme, forte, bello, spavaldo ed altezzoso; la gioia nell'incontrarlo, nel vederlo "divino" perchè suo salvatore, che si avvicinò a lui, prigioniero puzzolente, stanco e malato e che gli tolse le scarpe, rubandogliele per poi andarsene, lasciandolo inerme, steso, appoggiato alla parete; lasciandolo esterrefatto da tanta crudeltà.
<< Eh>>
Seguì una lunga pausa e poi un singhiozzo, un nodo alla gola, nel silenzio più assoluto,
<<Giovanotto...>>.
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