" ..ognuno è complice del suo destino, chiudi gli occhi e vai in Africa, Celestino! "
Ascoltavo questo magnifico pezzo di De Gregori un giorno, in una terra molto lontana. Avevo gli occhi rossi, che mi bruciavano per colpa della polvere. Stavo fissando tre bambini che come trottole giocavano e si divertivano come pazzi a rincorrersi nel cortile davanti a me.
Per far passare un po' il tempo decisi di fare una passeggiata.
Di solito quando alloggio da qualche parte, o quando vengo ospitato da qualcuno, ho la strana abitudine, prima di ripartire per un altro luogo o prima di tornare a casa, di girovagare all'intero del cortile per "non-dimenticarmelo-più".
Il cortile in realtà è solo un pretesto, ciò che non voglio dimenticare è tutt'altro.
Mi isolo da tutto per qualche minuto, mi prendo il mio tempo e cammino.
Cammino da solo, ascolto tutti i rumori che trascina per mano il vento, raccolgo l'erba, tocco i muri delle pareti, guardo il cielo. Cerco in questo modo di ancorare nella mente il più possibile quei posti, ciò che ho vissuto, quei momenti durati giorni che, con il tempo, la mente inevitabilmente cancellerà.
Un bambino era nascosto dietro ad un muro. Mi stava spiando.
Lo riconobbi, era uno di quelle trottole! Lo raggiunsi velocemente, lo guardai in silenzio, ci fissammo per qualche istante e lo salutai. Rideva timidamente. Con i vestiti sbrindellati, teneva le gambe incrociate, un piedino sopra l'altro. Fissava con la testa curva il terreno alzando gli occhi ogni tanto per osservarmi. Dondolava leggermente in modo gioioso e tra le mani, che gli arrivavano all'altezza della bocca, stringeva della terra e dell'erba che piano piano faceva cadere.
Aveva degli occhi incredibili, profondissimi. Era gioioso, ricco di vita.
Non mi disse nulla. Trascorse qualche minuto e, richiamato da qualcuno ad alta voce, se ne andò. In quell'attimo, d'istinto, fece cadere a terra tutta l'erba e la terra che stringeva tra le mani, mi guardò poi l'ultima volta, si girò ed iniziò a correre.
Io allora lo guardai con più attenzione di prima e, mentre s'allontanava, notai che i suoi movimenti nella corsa non erano affatto naturali. Era in qualche modo "impacciato".
Ho scoperto con il tempo perchè correva male quel bambino.
Ho scoperto cosa gli era successo, tanti anni fa, quando accidentalmente si ustionò in modo molto serio la parte del corpo che va dall'ombelico alle ginocchia.
Quando, dopo quel giorno, dopo quel spaventoso incidente e tutti i problemi che susseguirono, se ne sommò un altro, di un'altra natura, che voleva dire essere posizionato in mezzo ad un campo e fare lo spaventapasseri inginocchiato miseramente sul terreno; dare una mano ai suoi genitori intenti a lavorare la terra, essere almeno utile in qualcosa.
Il piccolino, sotto shock, non potendo camminare ed ancora in convalescenza, per spostarsi doveva trascinarsi con le unghie e ben presto le dita si macerarono.
Ho scoperto cosa gli era successo, tanti anni fa, quando accidentalmente si ustionò in modo molto serio la parte del corpo che va dall'ombelico alle ginocchia.
Quando, dopo quel giorno, dopo quel spaventoso incidente e tutti i problemi che susseguirono, se ne sommò un altro, di un'altra natura, che voleva dire essere posizionato in mezzo ad un campo e fare lo spaventapasseri inginocchiato miseramente sul terreno; dare una mano ai suoi genitori intenti a lavorare la terra, essere almeno utile in qualcosa.
Il piccolino, sotto shock, non potendo camminare ed ancora in convalescenza, per spostarsi doveva trascinarsi con le unghie e ben presto le dita si macerarono.
Stentai a crederci una volta che me lo raccontarono.
Eppure oggi ho la grande fortuna di incontrarlo in quel cortile e di giocare insieme a lui ogni volta che ritorno in Africa. Ammetto di essermi molto affezionato e gli voglio veramente un gran bene.
L'iter terapeutico non è ancora concluso ma vi assicuro che è vispo, sveglio, allegro, sereno.
Questo grazie a due persone dal cuore immenso che, in quella terra tanto lontana, lo raccolsero da quel campo arido per portarlo via e prendersi cura di lui.
Non è poco.
Non è poco.
Gli diedero un tetto, del cibo, un po' di pace e serenità.
Lo medicarono tutti i giorni, per anni, non credendo affatto che un bambino possa essere destinato a macerare sotto al sole, ricoperto di pidocchi, a fare lo spaventapasseri, complice del proprio destino.
Non era giusto.
Non era giusto.
Quelle persone, una suora ed un anziano infermiere locale, oggi non ci sono più.
Ma è grazie a loro che, sempre oggi, quel medesimo bambino, corre sereno come una trottola nel cortile;
Ma è grazie a loro che, sempre oggi, quel medesimo bambino, corre sereno come una trottola nel cortile;
complice di un nuovo destino.
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