A me piacciono le storie della gente, perché mi permettono di vedere le cose di tutti i giorni sotto un'altra prospettiva che non sia la mia.
Ho sempre pensato che non esista al mondo una professione migliore della professione infermieristica per riconoscere la gente. Riconoscere la gente significa riconoscere prima la persona e solo poi il malato. Ma non è affatto facile.
Il luogo dove lavoro io, il pronto soccorso, ti permette di essere a contatto con una miriade di persone. Sempre diversa, mai uguale, di tutti i tipi.
Dentro a questa miriade di persone s'incastrano le loro storie, che si sovrappongono fra loro in modo spesso crudele ed impietoso; Beffandosi spesso della vita, deridendola. Come fare allora?
Io, il pronto soccorso, me lo immagino spesso come un vecchio porto di mare.
La gozzoviglia, in un certo senso, è la medesima. Come quello della Livorno di una volta, raccontato in qualche libro. Un luogo veramente cosmopolita dove dominano miscugli di suoni, rumori, litigi, risate, bestemmie, un luogo spesso romanzato, avvolto da terribili miasmi di puzze, scenari di infinite bische o rocambolesche storie d'amore, minacciato dai pirati, babilonia di lingue, convinzioni, culti.
Il pronto soccorso in determinate situazioni è simile a questo. Bailamme di telefoni che squillano, bestemmie, suoni, personalità, malesseri, ossessioni, rumori, religioni, risate, litigi, discussioni, contornato spesso dal caos, dovuto per lo più dalla cattiva organizzazione, strozzato dai continui tagli, schiacciato da vecchi sprechi, ridotto all'osso dalla mancanza di personale.
Dove nel giro di pochi minuti si può essere afferrati alla spalla da qualcuno, essere chiamati ad alta voce, ammirati, derisi ed insultati, sorpresi, arrabbiati. Pronti in attesa di vedere le ambulanze entrare nella rada con il trauma, il dolore toracico, l'amputazione, l'insufficienza respiratoria, l'ictus cerebrale, la ragazzina ubriaca, la crisi d'ansia, l'infortunio sul lavoro e poi andare sul molo, lungo le banchine, nel triage in accettazione, ed accoglierli tutti, classificandoli grazie a quattro semplici colori.
E solo allora iniziano le storie della gente, i bagordi assicurativi, le gioie, le baraonde dei ricordi, delle anime, delle confidenze, dei sospiri, delle urla, dei pianti.
Ho sempre pensato che non esista al mondo una professione migliore della professione infermieristica per riconoscere la gente. Riconoscere la gente significa riconoscere prima la persona e solo poi il malato. Ma non è affatto facile.
Il luogo dove lavoro io, il pronto soccorso, ti permette di essere a contatto con una miriade di persone. Sempre diversa, mai uguale, di tutti i tipi.
Dentro a questa miriade di persone s'incastrano le loro storie, che si sovrappongono fra loro in modo spesso crudele ed impietoso; Beffandosi spesso della vita, deridendola. Come fare allora?
Io, il pronto soccorso, me lo immagino spesso come un vecchio porto di mare.
La gozzoviglia, in un certo senso, è la medesima. Come quello della Livorno di una volta, raccontato in qualche libro. Un luogo veramente cosmopolita dove dominano miscugli di suoni, rumori, litigi, risate, bestemmie, un luogo spesso romanzato, avvolto da terribili miasmi di puzze, scenari di infinite bische o rocambolesche storie d'amore, minacciato dai pirati, babilonia di lingue, convinzioni, culti.
Il pronto soccorso in determinate situazioni è simile a questo. Bailamme di telefoni che squillano, bestemmie, suoni, personalità, malesseri, ossessioni, rumori, religioni, risate, litigi, discussioni, contornato spesso dal caos, dovuto per lo più dalla cattiva organizzazione, strozzato dai continui tagli, schiacciato da vecchi sprechi, ridotto all'osso dalla mancanza di personale.
Dove nel giro di pochi minuti si può essere afferrati alla spalla da qualcuno, essere chiamati ad alta voce, ammirati, derisi ed insultati, sorpresi, arrabbiati. Pronti in attesa di vedere le ambulanze entrare nella rada con il trauma, il dolore toracico, l'amputazione, l'insufficienza respiratoria, l'ictus cerebrale, la ragazzina ubriaca, la crisi d'ansia, l'infortunio sul lavoro e poi andare sul molo, lungo le banchine, nel triage in accettazione, ed accoglierli tutti, classificandoli grazie a quattro semplici colori.
E solo allora iniziano le storie della gente, i bagordi assicurativi, le gioie, le baraonde dei ricordi, delle anime, delle confidenze, dei sospiri, delle urla, dei pianti.
In quell'intreccio di storie ci ritrovo Eugenio e la sua favola svanita; vecchia gloria del calcio degli anni cinquanta, capocannoniere di una squadra minore, comprato un'estate dall'Internazionale che si fece però male ancora prima di arrivare a Milano fratturandosi la gamba in più punti..ed allora addio Inter. Mi raccontò lui stesso questa storia quasi sessant'anni dopo averla vissuta confidandomi, ancora oggi, tutto il suo rammarico. In compenso però mi racconta felicemente di essere diventato un fruttivendolo, nonno di sei nipotini, tre maschietti e tre femminucce e che ha condotto una vita serena, onesta e senza rimpianti.
In quell'intreccio di storie ci ritrovo una ragazzina minorenne ubriaca che, di buona mattina, litiga con il proprio padre, accorso nel pieno della notte, minacciando di chiamare la propria assistente sociale dopo che esso le aveva tolto il cellulare nel tentativo di punirla per la bravata.
In quell' intreccio di storie ci ritrovo il sedicenne sbalzato dal motorino e giunto in ambulatorio in coma ed agonizzante che, dopo qualche minuto, muore, lasciando il posto poco dopo al vispo sessantenne rispettoso ma allo stesso tempo scocciato perché ha aspettato troppo in quanto il nipotino appena nato a casa lo aspetta, giunto da noi perchè si è schiacciato il pollice mentre lavorava serenamente nell'orticello di casa.
Una casa in festa e con un bel fiocco azzurro appeso sulla porta; simbolo di un nuovo meraviglioso arrivo.
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