Mi capita di toccare di nascosto le storie della gente. Sono attimi.
Corro poi per giorni alla ricerca d'un momento capace di nascondermi e quando lo scovo mi ci rannicchio dentro per poi spalancare gli occhi e ripensare a tutte quelle persone, di quelle storie, dentro quei attimi, che mi hanno insegnato qualcosa con niente. Nella realtà delle cose mi capita d'incontrarle improvvisamente, rimanendone abbagliato. Spesso coincidono con delle persone alla quale non serve molto per conquistarmi; esse posseggono la naturalezza dei gesti, la semplicità d'esporre singole parole d'odio o d'affetto con i tempi giusti; Sono pronte, senza timore di essere sgridate, a schiaffeggiare davanti a tutti un triste momento che gode esclusivamente la colpa di rallentare troppo, rallentando tutti; sono pronte a beffarsi del tempo, rimanendo incredibilmente normali senza farsi contagiare dal mondo. Quando le incontro esisto e resisto a commuovermi. Molti di questi attimi con il tempo si perderanno e non ritorneranno mai più, altri rimarranno e mi serviranno un giorno. Ogni volta che mi capita di scovarne qualcuno mi prometto di fare di tutto per non dimenticarli.
E spesso ci riesco.
E quando ci riesco maturano in me diventando di nuovo storie pronte per essere raccontate nuovamente a qualcuno. E quando le racconto a qualcuno mi sento meglio e tutto ha più senso.
Un giorno toccai la storia di Giannino e di sua moglie Lucia.
Il signor Giannino, classe 1938, ci venne a trovare in pronto soccorso che non respirava.
Una volta in ambulatorio gli "saltammo" subito addosso; gli facemmo l'elettrocardiogramma, le radiografie, gli posizionammo due vene che, nel frattempo, la vita aveva fatto scappare, gli somministrammo farmaci ed ossigeno.
Ma a Giannino non importava; lui piangeva.
Piangeva non perchè lo stessimo torturando ma perchè si sentiva in colpa per aver abbandonato sua moglie a casa da sola. Tutto il resto non contava.
Ci raccontò della loro storia la figlia; l'ascoltammo mentre attendavamo che la terapia facesse effetto. "Non-si-sono-mai-separati" ci raccontò. "Mai-per-cinquant'anni. Hanno-fatto-sempre-tutto-insieme..".
Sorridemmo delicatamente senza commentare.
Quando poi Giannino si calmò, tornando anche a respirare, vidì il medico che gli si avvicinò chiedendogli, accarezzandolo, come si sentisse introducendo il tutto con la classica domanda "Buongiorno-respira-meglio?come-si-chiama?".
Giannino lo guardò un po' perplesso e gli rispose "Lucia Bianchi".
"No! Quella è sua moglie. Vogliamo sapere come si chiama lei!". Gli rispondemmo allegramente..
Ci fece un gran tenerezza.
La barella lasciò l'ambulatorio attraversò il corridoio e raggiunse ben presto l'ascensore che porta alla geriatria; ad aspettarlo davanti ad esso, prima di salire, c'era la figlia che sorreggeva una magrissima vecchiettina avvolta da un elegante cappotto blu, con due grandi occhiali ed il busto proteso in avanti ricurva su se stessa.
Era Lucia.
Una notte toccai la storia di tre fanciulle riverse in un campo di frumento bagnato dalla rugiada all'alba. Con me c'era Evelina.
"..scusa se ti faccio questa domanda ma tu cosa ti ricordi di quell'alba?" le chiesi.
"..sinceramente poco." Mi rispose. "Ho dei ricordi troppo forti. Così forti forse da riuscire a cancellare quella notte. Siamo arrivati che c'era già molta gente sul ciglio della strada; alcuni dicevano di-aver-visto-l'incidente". Evelina, la mia collega, fece una piccola pausa; si prese qualche attimo poi proseguì "Una delle ragazze era fuori dall'auto sbalzata ad una decina di metri. L'altra ragazzina era ancora dentro. Anch'essa morta".
"E la terza ragazza?" le domandai.
"L'amica era sotto shock. Continuava a ripetere come-stanno-le-mie-amiche?Come-stanno-le-mie-amiche?Occupatevi-di-loro-io-sto-bene. Non ricordo altro se non il campo dove s'era fermata l'auto una volta uscita di strada. Il frumento mi arrivava alle ginocchia. Quello me lo ricordo. Non so perché l'ho impresso così bene nella mente. C'era poi la rugiada; ecco ricordo bene anche questo. Ricordo che c'era moltissima rugiada..".
Toccare di nascosto le storie della gente rimanendone più o meno indifferenti.
Ricercarsi un momento; fuggire poi via cercando di nascondersi rannicchiandocisi bene dentro. Sperando di riuscirci.
Corro poi per giorni alla ricerca d'un momento capace di nascondermi e quando lo scovo mi ci rannicchio dentro per poi spalancare gli occhi e ripensare a tutte quelle persone, di quelle storie, dentro quei attimi, che mi hanno insegnato qualcosa con niente. Nella realtà delle cose mi capita d'incontrarle improvvisamente, rimanendone abbagliato. Spesso coincidono con delle persone alla quale non serve molto per conquistarmi; esse posseggono la naturalezza dei gesti, la semplicità d'esporre singole parole d'odio o d'affetto con i tempi giusti; Sono pronte, senza timore di essere sgridate, a schiaffeggiare davanti a tutti un triste momento che gode esclusivamente la colpa di rallentare troppo, rallentando tutti; sono pronte a beffarsi del tempo, rimanendo incredibilmente normali senza farsi contagiare dal mondo. Quando le incontro esisto e resisto a commuovermi. Molti di questi attimi con il tempo si perderanno e non ritorneranno mai più, altri rimarranno e mi serviranno un giorno. Ogni volta che mi capita di scovarne qualcuno mi prometto di fare di tutto per non dimenticarli.
E spesso ci riesco.
E quando ci riesco maturano in me diventando di nuovo storie pronte per essere raccontate nuovamente a qualcuno. E quando le racconto a qualcuno mi sento meglio e tutto ha più senso.
Un giorno toccai la storia di Giannino e di sua moglie Lucia.
Il signor Giannino, classe 1938, ci venne a trovare in pronto soccorso che non respirava.
Una volta in ambulatorio gli "saltammo" subito addosso; gli facemmo l'elettrocardiogramma, le radiografie, gli posizionammo due vene che, nel frattempo, la vita aveva fatto scappare, gli somministrammo farmaci ed ossigeno.
Ma a Giannino non importava; lui piangeva.
Piangeva non perchè lo stessimo torturando ma perchè si sentiva in colpa per aver abbandonato sua moglie a casa da sola. Tutto il resto non contava.
Ci raccontò della loro storia la figlia; l'ascoltammo mentre attendavamo che la terapia facesse effetto. "Non-si-sono-mai-separati" ci raccontò. "Mai-per-cinquant'anni. Hanno-fatto-sempre-tutto-insieme..".
Sorridemmo delicatamente senza commentare.
Quando poi Giannino si calmò, tornando anche a respirare, vidì il medico che gli si avvicinò chiedendogli, accarezzandolo, come si sentisse introducendo il tutto con la classica domanda "Buongiorno-respira-meglio?come-si-chiama?".
Giannino lo guardò un po' perplesso e gli rispose "Lucia Bianchi".
"No! Quella è sua moglie. Vogliamo sapere come si chiama lei!". Gli rispondemmo allegramente..
Ci fece un gran tenerezza.
La barella lasciò l'ambulatorio attraversò il corridoio e raggiunse ben presto l'ascensore che porta alla geriatria; ad aspettarlo davanti ad esso, prima di salire, c'era la figlia che sorreggeva una magrissima vecchiettina avvolta da un elegante cappotto blu, con due grandi occhiali ed il busto proteso in avanti ricurva su se stessa.
Era Lucia.
Una notte toccai la storia di tre fanciulle riverse in un campo di frumento bagnato dalla rugiada all'alba. Con me c'era Evelina.
"..scusa se ti faccio questa domanda ma tu cosa ti ricordi di quell'alba?" le chiesi.
"..sinceramente poco." Mi rispose. "Ho dei ricordi troppo forti. Così forti forse da riuscire a cancellare quella notte. Siamo arrivati che c'era già molta gente sul ciglio della strada; alcuni dicevano di-aver-visto-l'incidente". Evelina, la mia collega, fece una piccola pausa; si prese qualche attimo poi proseguì "Una delle ragazze era fuori dall'auto sbalzata ad una decina di metri. L'altra ragazzina era ancora dentro. Anch'essa morta".
"E la terza ragazza?" le domandai.
"L'amica era sotto shock. Continuava a ripetere come-stanno-le-mie-amiche?Come-stanno-le-mie-amiche?Occupatevi-di-loro-io-sto-bene. Non ricordo altro se non il campo dove s'era fermata l'auto una volta uscita di strada. Il frumento mi arrivava alle ginocchia. Quello me lo ricordo. Non so perché l'ho impresso così bene nella mente. C'era poi la rugiada; ecco ricordo bene anche questo. Ricordo che c'era moltissima rugiada..".
Toccare di nascosto le storie della gente rimanendone più o meno indifferenti.
Ricercarsi un momento; fuggire poi via cercando di nascondersi rannicchiandocisi bene dentro. Sperando di riuscirci.
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