Questo blog è nato una ventina di anni fa! Ha fatto a cazzotti con i primi guestbook, i primi "siti", con i vari forum ed oggi è bullizzato dai social molto più "veloci" e alla moda.. ma tutto sommato, nonostante mille cose successe, qualche cicatrice e gli acciacchi del tempo, rimane ancora in piedi! Respect!

18 dicembre 2013

polibus

Come ogni trimestre mi è arrivata per posta la rivista ufficiale di Emergency.
Non mi arriva solo quella a dire il vero; se non ricordo male ben altre due riviste (con annessi i rispettivi bollettini postali) di Ong diverse mi vengono spedite normalmente a casa in differenti periodi di tempo: Le riviste sono frutto di donazioni che ho compiuto e che generano una successiva strategia di "attaccamento dell'Ong"; che, ovviamente, ha lo scopo di incrementare quel rapporto di fedeltà (e sostentamento economico) fondamentale ma sempre più difficile (soprattutto in questi periodi di crisi...) tra donatore e associazione. Senza dimenticare la necessità, oramai consolidata in quasi tutte le associazioni, di "render conto", ai propri sostenitori, degli avanzamenti dei progetti intrapresi, scongiurando quindi perdita di credibilità (così sudata e ambita negli anni).

Con Emergency, tuttavia, ho un rapporto molto particolare (essendo stato, per un breve periodo di tempo, un volontario attivo nel gruppo territoriale della mia città... ). Proprio anche per questi motivi è sempre un piacere leggerne i contenuti anche se, lo ammetto, approfondire e immedesimarsi, con sincero trasporto emotivo, in tutto quello testimoniato e vissuto, in prima persona, da decine di volontari, medici, infermieri e logisti, localizzati in zone del mondo realmente dimenticate, impoverite e sfruttate (nella stragrande maggioranza dei casi da interessi legati ai paesi del nord del mondo... ) è uno strazio di sensazioni: Viene davvero voglia di prendere poche cose e correre lì, in quei posti a dare una mano, oppure chiudere in fretta e furia tutto, smettere di leggere e fare altro. Riflessioni contrastanti, lo so.

Tornando alla rivista, oggi vorrei trascrivere sul blog un breve racconto che mi ha colpito molto.
Mi ha colpito perché è una scena che un po' mi ricorda ciò che avviene abbastanza frequentemente negli ambulatori dei pronto soccorsi di tutta Italia quando ci troviamo a gestire attacchi di panico (disturbo complesso, diffuso e purtroppo ancora molto sottovalutato dalla clinica e dalla società in generale a mio avviso... ) un po' perché mi ha permesso di entrare in empatia con le vittime di questa triste storia di guerra: Abbandonate a se stesse, in fuga, spaventate, in balia della disperazione, in stato di shock (emotivo).
Deve essere terribile.
Il tutto è accaduto all'interno del polibus allestito come ambulatorio mobile e posizionato fuori dal centro di accoglienza Umberto 1, a Siracusa, che assiste i migranti che scappano dall'Africa e dalla Siria.

E' solo un piccolo pensiero "empatico", catturato in una giornata soporifera e torposa.

DALLA SIRIA
Molti dei migranti che sbarcano sulle coste di Siracusa vengono dalla Siria, in fuga dal conflitto che sta dilaniando il paese. Verso sera ci chiamano per visitare una donna. E' in pieno attacco di panico, è agitata, ipotesa, ha il respiro corto e frequente, parla del viaggio e della Siria, urla per chiedere aiuto. Trema. Suo figlio, un bambino di quattro anni e mezzo, ha 39,8 di febbre.
Chiamiamo l'ambulanza per portarli in ospedale. Un'altra figlia e il padre sono già ricoverati. Intanto diamo la tachipirina al bambino e lo copriamo con sacchetti di ghiaccio per far scendere la temperatura. Ci guarda spaventato, gli parliamo in arabo per tranquillizzarlo. La madre si alza di scatto e sviene. Gli occhi del bambino si fanno lucidi, scoppia in un pianto di sole lacrime, senza singhiozzi o rumori. Nella stanza, con noi, c'è anche il fratello maggiore, anche lui attonito. Nella stanza, con noi, c'è tutto l'orrore della guerra.
Tratto dalla rivista Emergency, 69 Dicembre 2013, pag. 5

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