Questo blog è nato una ventina di anni fa! Ha fatto a cazzotti con i primi guestbook, i primi "siti", con i vari forum ed oggi è bullizzato dai social molto più "veloci" e alla moda.. ma tutto sommato, nonostante mille cose successe, qualche cicatrice e gli acciacchi del tempo, rimane ancora in piedi! Respect!

09 novembre 2009

come l'attesa che sulle labbra pesa

Grazie al mattino trascorso in pronto soccorso vi rendo conto d'un fatto che merita di essere immortalato in viveresisteresitendo. Parlo per un ragazzo, sulla trentina, che non può farlo per noi.

Non importa, ci penso io.

Ricordo gli occhi di questo ragazzone che nel frattempo entrava veloce in ambulatorio, giunto coricato sulla barella spinta da tre-quattro soccorritori ed inseguita da sei agenti.

E' arrivato da noi per caso. Detenuto, in trasferimento da città a città. Un malore durante il viaggio in autostrada, lo scompiglio delle istituzioni sul "cosa fare", l'allarme al 118 di competenza provinciale, il dirottamento nel pronto soccorso più vicino all'ambulanza (nel frattempo accorsa in soccorso del ragazzo) e l'arrivo quindi da noi, scortato dagli agenti della Polizia Penitenziaria arrivati anch'essi con i classici maxi ducato.

La mia preoccupazione (no so fino a che punto giustificata) era dovuta, pensai più tardi, solo per il fatto che etichettai il ragazzone detenuto uguale pericoloso.

In ambulatorio il ragazzo lamentava dolori molto intensi alla schiena ed un malessere generale associato a crisi isteriche intermittenti.

Iniziammo a spogliarlo e con grande sorpresa il ragazzone divenne sempre più fragile e magro, esile, minuto quasi vulnerabile, al punto da notare le sue braccia ingriminzite e scheletriche. Le gambe anch'esse sottili gracili a sostegno d'un tronco che velocemente all'impazzata saliva e scendeva, saliva e scendeva, saliva e scendeva, segno inconfondibile (e confermato dall'emogasanalisi) di iperventilazione.

L'ambulatorio fu invaso di gente, il medico in modo molto accurato iniziò a fare domande agli agenti, a chiedersi come cosa è successo a telefonare ecc..

Noi riuscimmo a prendergli una vena solo dopo quattro tentativi, lo monitorammo e gli facemmo un elettrocardiogramma. Una volta prelevati gli esami del sangue di routine fatta l'emogasanalisi, somministrata la terapia, una volta cateterizzato per far fuoriuscire l'immensa quantita di urina che ristagnava nella vescica a causa di un doloroso globo vescicale, lo mandammo a fare le radiografie.

L'ambulatorio di colpo si svuotò.

Prima di uscire lo guardai negli occhi. Erano neri. No so di cosa. Scavati anch'essi. Mi parlò molto sofferente, trascinandosi le parole dalla bocca con fatica. Scambiammo quasi "amichevolmente" qualche chiacchiera e non lo trovai affatto pericoloso anzi.

Gli chiesi  << Massimo da dove vieni? >>
Mi rispose << da troppo lontano >>.

Me lo disse in un modo molto toccante, in un modo veramente triste.

Era spaesato, isolato, disorientato, il volto pestato e segnanto a vita da una buia emarginazione..

Ebbi allora quasi la sensazione che il tempo per qualche secondo si fosse fermato. Come se le pareti si aprissero all'indietro, il soffitto si alzasse verso il cielo, attorno a me divenne tutto velocissimo e venni trasportato DENTRO in quel "troppo lontano" di Massimo.

Un "troppo lontano" ricco d'una immane colpa, d'un incredibile peso da sopportare per chissà quanti giorni ancora, ricco di sofferenza, fragilità e soprattutto rassegnazione.

Come un'attesa che sulle labbra pesa, cantava Capossela.

Per un istante, davvero per un istante, mi vergognai e con paura d'essere scoperto feci di tutto per non farmi scoprire. Mi promisi di scriverne ed ecco fatto.

Mi fece pena. Mi feci pena.

La sua, fortunatamente, è oramai barricata e coltivata nel mio cuore da un umano sentimento. Da uomo a uomo. Senza giudizio, nè difesa. Tantomeno condanna.

La mia pena è invece garantita dalla superficialità a giudicare solo dall'apparenza.
Non accadrà più.

Qualche sera più tardi al bar ne parlai con una ragazzino che con un coca-havana in una mano e la gazzetta nell'altra non ebbe pietà a condannarlo. Restai sbigottito. Secondo esso Massimo non avrebbe meritato nemmeno di essere visitato, sarebbe stato giusto lasciarlo morire di atroci sofferenze; giusta pena per quel che aveva fatto (che non ho mai saputo). Si aggiunse un altro ragazzo molto ben vestito e che ai miei occhi (sempre abili osservatori) risultava fin troppo pieno di sicurezze ed il quale disse che la chiavi della prigione andrebbero buttate e non fatte trovare mai più.

Entrò anche nei discorsi una ragazza, non tanto piccola a dire il vero, avrà avuto trent'anni, disse che l'acqua gli andrebbe tolta in carcere, cosicchè non si potessero lavare, la luce anche, cosicchè non potessero vedere, che andrebbero manganellati ed appesi in piazza per le palle. Che meriterebbe, mi fece capire, la "legge del taglione" principio di diritto in uso presso le popolazioni antiche consistente nella possibilità riconosciuta a una persona che abbia ricevuto un'offesa di infliggere all'offensore una pena uguale all'offesa ricevuta.

E tutti attorno ad acconsentire, abbracciati dalla rabbia e trabordati dall'alcol che uno a uno, fino a notte fonda, li beffeggia facendoli sembrare immortali, sbraitando a turno innumerevoli "SI CAZZO" tra una risata ed un sorso.

Ero in minoranza ma se anche non lo fossi stato, non avrebbero mai capito.

Alla luce di ciò che ho visto, ho la netta sensazione che Massimo (e molti altri come lui) stia scontando la sua giusta pena. Non sta a noi poi decidere "il modo".

Chissà se vive, ne dubito, sucuramente è incatenato a resistere,
e tanto, ma davvero tanto..esiste.

Credo che la giustizia, spesso, si possa manifestare interiormente, nei pensieri, nelle colpe, nei sogni, nei ricordi. Nei più atroci dolori.

Credo che la giustizia, il senso di giustizia, in questi uomini, in queste donne o minori, in questi ragazzi, nei detenuti...sia spesso nascosta, ambigua, nebulosa, sfuggente,

credo che si confronti quotidianamente con le loro coscienze, in una battaglia tanto intima quanto tormentata.

Anche Massimo avrà una coscienza no?
Sarà lei, con il tempo, piano piano, giorno dopo giorno, a divorarlo
e forse a farlo cambiare.

Ecco il perchè solamente più tardi, una volta finito tutto,
capii e mi soffermai in quel

"da troppo lontano".

In ogni caso, tornando alle parole di quei ragazzi, disgustato da tale intolleranza e disprezzo per il prossimo, abbandonai ferito il gruppo.

Mi avvicinai al bancone ordinando l'ennesimo montenegro; con le spalle cariche di pena e miseria, ed un pizzico di gioia e rivincita, lo assaporai mentre fissavo le medesime tre persone con la quale pochi minuti prima stavo parlando.

Un sorrisetto malizioso mi colse istintivamente e con esso mi feci beffa d'un colpo dei tre stupidi ragazzi.
Assaporai il montenegro ghiacciato e delizioso con la mente insieme a Massimo, il quale fu rispettato e curato al meglio.

Poco dopo venne dimesso e riconsegnato alla Polizia Penitenziaria la quale proseguì il viaggio scortandolo verso la sua nuova prigione.

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