Quando la madre ci disse cosa era accaduto, tutti noi stentammo a crederci. Ci guardammo di sfuggita, imbarazzati perchè in fondo, noi, siamo da quella parte. Ma durò un attimo. Tornammo ben presto alla realtà.
La madre felice e commossa ci ringraziò infinitamente. Il suo unico figlio, ventunenne, divenuto tetraplegico dopo un intervento chirurgico alla spina dorsale, era riuscito ad urinare.
Lo vidi per la prima volta quando entrai di sfuggita in triage. Giulia, la mia collega quel giorno in accettazione, lo stava inserendo al computer. Dovevo solo riporre delle carte nell'armadio quando rivolsi lo sguardo verso di lui. Era lì, seduto sulla sua predisposta carrozzina; Non una carrozzina normale ma di quelle che, per intenderci, si vedono solo nelle unità spinali. Fermo Immobile, anchilosato e drammaticamente rigido. Incastrato nella vita.
Lo accompagnavano i genitori. Persone così, di questa grandezza, ebbi già modo di conoscerle quando lavoravo in rianimazione, qualche anno fa. Ebbi la fortuna di incontrare padri e madri capaci di affrontare la cruda ed impietosa drammaticità conseguente ad istantanei momenti di vita, in maniera veramente straordinaria. Momenti di fatali distrazioni, terribili negligenze, o semplicemente destinati ad avvenire. Ed in un attimo tuo figlio, alla quale poco prima avevi dato venti euro per divertirsi o fare benzina allo scooter e che aspettavi che tornasse dall'allenamento, come tante sere, per la cena, te lo ritrovi dopo poche ore accudito come un neonato su di un letto in rianimazione; Tra la vita e la morte, in stato di coma, vivo grazie a tecnologici macchinari. I soli che gli permettono di respirare, esistere e resistere.
E resistono.
A tal punto da tornare perfino a vivere. Chi senza complicanze, chi su di una carrozzina senza più l'uso delle gambe, chi completamente paralizzato. Vivo con la mente, gli occhi e la sola fantasia. Ed è allora che queste straordinarie persone, padri, madri, danno il meglio, contro tutti e tutto. Contro perfino se stessi.
Inizia quindi un calvario intimo e drammatico, presto però sovrastato e ferito da una corazza interiore che permette loro di resistere e combattere.
Ha combattuto la madre del ragazzo che, poco dopo, fece il suo ingresso in ambulatorio, eccome se ha combattuto.
Ci provò prima a casa da sola a cateterizzarlo, come aveva fatto centinaia di volte, come le avevano insegnato, riuscendoci sempre fino a quel giorno, senza mai andare incontro a problemi. Non riuscendoci, decise di portarlo da noi, in pronto soccorso. Sfidando gli sguardi pietosi della gente in sala di attesa, sfidando i nostri occhi mai fin troppo preparati, sfidando l'ennesimo campanello da suonare per farsi ascoltare. Rievocando, per l'ennesima volta, quei terribili momenti al medico di turno. Un altro dei tanti incontrati in questi anni. Una volta dentro il ragazzo ci salutò, strizzando gli occhi, facendo un sorriso ed emettendo un suono molto simile ad un "buongiorno". Aveva ancora la tracheostomia. Ce la mettemmo tutta a posizionargli un catetere adatto per il suo caso e, dopo diversi tentativi, ci riuscimmo.
La soddisfazione fu davvero enorme e noi tutti ne uscimmo felicemente vittoriosi.
Più forti d'un altro spiacevole momento, destinato, forse anche quella volta, semplicemente ad avvenire.
La madre felice e commossa ci ringraziò infinitamente. Il suo unico figlio, ventunenne, divenuto tetraplegico dopo un intervento chirurgico alla spina dorsale, era riuscito ad urinare.
Lo vidi per la prima volta quando entrai di sfuggita in triage. Giulia, la mia collega quel giorno in accettazione, lo stava inserendo al computer. Dovevo solo riporre delle carte nell'armadio quando rivolsi lo sguardo verso di lui. Era lì, seduto sulla sua predisposta carrozzina; Non una carrozzina normale ma di quelle che, per intenderci, si vedono solo nelle unità spinali. Fermo Immobile, anchilosato e drammaticamente rigido. Incastrato nella vita.
Lo accompagnavano i genitori. Persone così, di questa grandezza, ebbi già modo di conoscerle quando lavoravo in rianimazione, qualche anno fa. Ebbi la fortuna di incontrare padri e madri capaci di affrontare la cruda ed impietosa drammaticità conseguente ad istantanei momenti di vita, in maniera veramente straordinaria. Momenti di fatali distrazioni, terribili negligenze, o semplicemente destinati ad avvenire. Ed in un attimo tuo figlio, alla quale poco prima avevi dato venti euro per divertirsi o fare benzina allo scooter e che aspettavi che tornasse dall'allenamento, come tante sere, per la cena, te lo ritrovi dopo poche ore accudito come un neonato su di un letto in rianimazione; Tra la vita e la morte, in stato di coma, vivo grazie a tecnologici macchinari. I soli che gli permettono di respirare, esistere e resistere.
E resistono.
A tal punto da tornare perfino a vivere. Chi senza complicanze, chi su di una carrozzina senza più l'uso delle gambe, chi completamente paralizzato. Vivo con la mente, gli occhi e la sola fantasia. Ed è allora che queste straordinarie persone, padri, madri, danno il meglio, contro tutti e tutto. Contro perfino se stessi.
Inizia quindi un calvario intimo e drammatico, presto però sovrastato e ferito da una corazza interiore che permette loro di resistere e combattere.
Ha combattuto la madre del ragazzo che, poco dopo, fece il suo ingresso in ambulatorio, eccome se ha combattuto.
Ci provò prima a casa da sola a cateterizzarlo, come aveva fatto centinaia di volte, come le avevano insegnato, riuscendoci sempre fino a quel giorno, senza mai andare incontro a problemi. Non riuscendoci, decise di portarlo da noi, in pronto soccorso. Sfidando gli sguardi pietosi della gente in sala di attesa, sfidando i nostri occhi mai fin troppo preparati, sfidando l'ennesimo campanello da suonare per farsi ascoltare. Rievocando, per l'ennesima volta, quei terribili momenti al medico di turno. Un altro dei tanti incontrati in questi anni. Una volta dentro il ragazzo ci salutò, strizzando gli occhi, facendo un sorriso ed emettendo un suono molto simile ad un "buongiorno". Aveva ancora la tracheostomia. Ce la mettemmo tutta a posizionargli un catetere adatto per il suo caso e, dopo diversi tentativi, ci riuscimmo.
La soddisfazione fu davvero enorme e noi tutti ne uscimmo felicemente vittoriosi.
Più forti d'un altro spiacevole momento, destinato, forse anche quella volta, semplicemente ad avvenire.
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