12 settembre
Il giorno della partenza. Sono a Mendiida, prima di mezzogiorno arriviamo a Debre. Nel pomeriggio sarà la volta di Addis. In serata il volo. A Mendiidaa muore un bimbo di un anno. Non si sa di cosa. Cerco di indagare ma nessuno sa nulla. Non ci si pone tanti interrogativi. E' morto, punto e basta.
A Debre mi giunge invece la più brutta notizia dell'intero viaggio. In mattinata, poco prima che arrivassimo, è morto un bambino da noi stessi segnalato e poi visitato da un'associazione d Roma che lo aveva messo sotto terapia. Aveva nove anni. Soffriva di una brutta aritmia cardiaca. Mi tormentano i dubbi riguardo una gestione accurata, se la terapia è stata sempre presa, se si poteva fare di più?
Sicuramente si poteva fare di più.
8 settembre
La mattina ad ADDIS, mi reco al MERCATO!
Esperienza unica, poi incontro Angelo, un siciliano residente in Etiopia da cinquantasei anni!! Nel pomeriggio partiamo per Debre. I racconto serali con le suore sono sempre molto toccanti..semplici ed intensi.
7 settembre
Ad Addis, faccio il turista…
6 settembre, ore 22
E' il giorno dei grandi lavori.
Nella mattina faccio ritorno a Debre dove mi reco in ospedale per prendere accordi. Poi visito le case con Fekree per il progetto della scuola di formazione. Mangio a Debre, scherzo con le suore riguardo a chi sa fare meglio da mangiare tra loro e Mendiidaa !
Torno a poi a Mendiidaa ed INCONTRO I DUE BAMBINI CHE ANDRANNO AL SALAM!!CHE EMOZIONE!! UNO DEI GIORNI PIU’ BELLI DELLA MIA VITA!! SE PENSO A QUANTI KM MI HANNO FATTO FARE!!
5 settembre, ore 20.39
Oggi mi sono spostato a Mendiidaa. Mi trovo a circa 200km a nord di Addis Abeba. Il villaggio di Mendiidaa è povero, rurale. Le strade non sono ancora asfaltate. Non esistono fognature. I più ricchi si possono però permettere la luce e l'acqua. Alloggio nella casa delle Suore della Divina Provvidenza. E' il terzo anno che mi accolgono e non smetterò mai di ringraziarle. Pranzo e cena sono ben garantiti, oltre che un letto pulito. Qui vuol dire tanto, credetemi.
Siamo al termine della stagione delle piogge, nonostante questo piove ancora. Tutti i giorni. Se penso a quattro giorni fa, quando mi trovavo in Sudan, a Khartoum, mi sembra incredibile. Faceva veramente caldo. Attorno al Salam regna infatti la più totale aridità ed una finissima sabbia rossa, trascinata continuamente dalla calda brezza del Nilo, ha la grande capacità d'infilarsi da tutte le parti. Perfino in bocca!
Qui, invece, vi sono altopiani che raggiungono i tremila metri. La stessa Mendiidaa si trova a duemilasettecento metri di altitudine. Attorno a me regnano tuttavia infinite distese di verde, mandrie di bestiame libere al pascolo, villaggi rurali, piccoli fiumi e laghi naturali, ed un cielo azzurrissimo, che, nel giro di pochi minuti, viene velocemente oscurato da immense nuvole grigie ricche di pioggia.
Oggi pomeriggio si è scatenato il diluvio universale. E' scesa perfino la grandine. E' raro, mi dicono, vedere la grandine a Mendiidaa e le stesse suore, presenti su questo altopiano dagli anni '70, riferiscono che una pioggia del genere ben poche volte l'hanno vista. Ed infatti verso le diciotto la cantina si è allagata. Il terreno limitrofo è troppo arido per drenare a fondo tutta la quantità di pioggia scesa in due ore circa. Il pozzo limitrofo si è riempito più del dovuto, alzandosi ad un livello maggiore dello scarico della cantina. E' un attimo. Dal pozzo l'acqua ha trovato una via di fuga nelle condotte dello scarico della cantina, allagandola.
In questi casi in Italia verrebbe semplice chiamare i Vigili del Fuoco. Basterebbe comporre il 115 ed in qualche modo l'emergenza verrebbe dopo poco marginata. A Mendiidaa è tutto molto più complicato. I vigili del fuoco non esistono, la gente si arrangia come può. Nel giro di qualche minuto il paese si mobilita. La voce si diffonde e giungono i primi volontari a darci una mano. Ben presto però la situazione peggiora, la volontà non basta. Servirebbe una pompa idraulica per drenare l'acqua. A quel punto un ragazzo pensa ai vicini padri circensi, i quali alloggiano a pochi metri dalle Suore. Leggenda vuole che loro possiedano una pompa. Una volta allertati, nel giro di pochissimi secondi giunge all'impazzata un Defender bianco pieno zeppo di Padri vestiti con le classiche tute blu che, da noi, vestono gli operai o i meccanici per intenderci! La cosa più incredibile è che hanno con sè la pompa! Il lavoro è incessante. Dopo circa tre ore l'emergenza è finita. Un bell'applauso premia poi la volontà di tutti. Così come sono arrivati i padri e la gente di Mendiidaa se ne tornano nelle proprie abitazioni. Anche oggi questa gente mi ha insegnato qualcosa. Solidali, rispettosi, instancabili, generosi, orgogliosi. Tutti aspetti di questo straordinario popolo, il popolo Etiope.
4 settembre, ore 12
Ieri mi son preso una giornata di totale relax. L'arrivo ad Addis è stato come sempre molto emozionante. Mi sono subito gustato i primi caffè, ho pianificato gli obiettivi da raggiungere e la giornata è volata via in fretta. Alla sera verso le nove ero già a letto, durante la notte mi ha svegliato una forte pioggia. Qui la stagione delle piogge è quasi terminata ma piove ancora tutti i gironi, anche in questo momento..se penso al Sudan..lo sbalzo di altitudine e climatico è stato veramente impegnativo. Oggi partirò per Debre Berhan..
3 settembre, ore 14.08
Sono partito stanotte da Khartoum. Ho lasciato il “Salam” con addosso una grande malinconia. Peccato aver fatto le valigie. Spero un giorno di ritornarci questa volta però da nurse e non da guest! Il pulmino di Emergency mi ha accompagnato verso le quattro della notte all'aeroporto di Khartoum.
Trovarsi alle quattro di notte nel piccolo aeroporto di Khartoum, dove i controlli funzionano un po' si un po' no, fino all'ultimo non conosci il tuo gate, i monitor vanno non vanno, è in qualche modo...eccitante. Durante il passaggio dei bagagli sotto lo scanner ho notato una pistola all'interno della valigia di un persona in fila dietro a me. Mi era impossibile non vederla, io me ne stavo dietro all'addetto del monitor in procinto di ricompormi. Rimango incredulo quando addirittura è scattato un piccolo allarme ma in un batter d'occhio il l'addetto alla sicurezza l'ha selezionata e l'ha fatta sparire dal monitor...
Sul biglietto avevo scritto gate 6 che però non esiste. Ho chiesto ad un ragazzo che mi ha gentilmente risposto di attendere in sala, facendo attenzione a quando avrebbero chiamato il corrispondente volo. Per circa mezz'ora ha regnato il dubbio poi improvvisamente è arrivato il pulmino. Saliti sull'aereo mi è oramai consuetudine trovarmi di fronte al più noto, a mio avviso, problema dell'Ethiopian Airlines, vale a dire la selezione del bagaglio a mano. L'Ethiopian infatti sembra quasi non voglia deludere nessuno ed accetta di far portare di tutto!! C'è infatti stata una lite, un signore non voleva abbandonare il suo bagaglio a mano, ma in effetti oramai eravamo sulla pista, anzi sulla scaletta, potevano dirglielo prima, con sé aveva una specie di lavagna, veramente immensa. Arrabbiatissimo è salito lo stesso.
Accontentato, una volta salito sull'aereo, noto con grande piacere che il suo immenso bagaglio viene posizionato tra le sue gambe, peccato che tale persona sia stata indirizzata alla mia sinistra. Alla mia destra invece mi ritrovo un ragazzo etiope magrissimo ma soprattutto spaventatissimo il quale ha rischiato, una volta decollati, di avere un attacco di panico. Ho dovuto perfino spiegargli a gesti di respirare lentamente..una volta calmato ha iniziato a pregare a bassa voce fino a destinazione. Non vedevo l'ora di arrivare!!
Il nostro ritardo si è accumulato. Scesi dall'aereo salgo sul pulmino che mi porta all'aeroporto Una volta dentro, arrivo ad un bivio, alla fine di un lungo corridoio utilizzato per i transfer, mi sento stranamente chiamare!! - DANIELEEE!! -
Ma..
..focalizzo..Incredibile la TITA!! Una mia amica!! Abita nel mio stesso paesino di campagna il quale conterà meno di duecento abitanti, in provincia di Piacenza. E' stato incredibile trovarsi lì. La TITA è una grandissima persona, collabora con una missione in Kenya. Sapeva che sarei arrivato ed ha deciso di aspettarmi!! Non so ancora come ha fatto a trovarmi, ero veramente di corsa per evitare problemi con il visto ed i bagagli. Una volta incontrata è scoppiata a piangere!! Io quasi. Parlavamo contemporaneamente ubriachi dallo stupore e dall'euforia. Alla fine, ora che ci penso, non mi ricordo neanche cosa mi ha detto. Credo che valga la stessa cosa anche per lei ma non importa.
Ci salutiamo abbracciandoci calorosamente, decidiamo quindi di scattare qualche foto giusto per immortalare questo evento irripetibile ed è qui che la TITA, totalmente impazzita, “bronca” al volo un poliziotto dall'aspetto veramente incazzato il quale passava di lì per caso, lo “placca” letteralmente, Non faccio in tempo a dirle che sarebbe meglio evitare che si becca un secco no ed una sgridata colossale. Poi si gira e ridendo mi dice “..ti-tè-capì-sal-ma-dit?!?-mì gò-capì-un-casu!!” che tradotto in dialetto piacentino significa -Tu-hai-capito-cosa-mi-ha-detto?-Io-non-ho-capito-un-c...o!!-
Ahahahahaha!!
Lui però aveva capito tutto. Ci controlla infatti i documenti. Perdo un altro quarto d'ora ma la TITA è stata mitica! Imperterrita poi cerca di fermare della gente per farci una foto non pensando che la stessa gente è di fretta per eseguire il proprio transfer e l'ultima cosa che vorrebbe fermarsi a fare in quel momento è scattare una foto a due pazzi.
Alla fine optiamo per l'autoscatto.
Io, intanto, realizzo che andrò incontro ad un casino. Farò una fila immensa per il visto oltre a non riuscire a fare in tempo a ritirare il bagaglio e, credetemi, perdere il bagaglio qui non è bello. Decido in ogni caso di rischiare, la TITA è più importante.
Una volta salutata (non prima di aver saputo che le hanno rubato il cellulare e multata per aver portato la mountain bike indovinate su di quale compagnia: Ethiopian...) mi dirigo correndo all'ufficio dei visti, stranamente non c'è fila, pago i miei venti dollari ed esco ma una volta girato l'angolo mi trovo davanti una marea di persone in attesa di eseguir l'ultimo check del passaporto, dopo ci sono ancora i bagagli (ormai non conto più di trovarlo). Passano altri quarantacinque minuti, mi dirigo al rullante ma il mio volo non c'è più.
Momento di panico, mi calmo e mi dirigo all'ufficio bagagli smarriti, anche qui mi trovo davanti un muro di gente, perlopiù incazzata, che sventola in alto i bigliettini che sapete anche voi corrispondere al codice del volo e del bagaglio. Frekre mi aspetta fuori da più di due ore, dovevo arrivare alle otto e trenta sono quasi le undici. Sconfortato decido di fare la fila, passano altri venti minuti, mi giro verso il rullante che imperterrito gira a vuoto poi, d'un tratto, all'improvviso noto una sagoma di valigia grigia, è l'unica.
NO! Non può essere la mia mi dico, ma se lo fosse? No non può essere..vado non vado..se vado perdo il posto difeso con i denti in fila..se non vado rischio di perdere davvero il bagaglio..fanculo decido di rischiare, corro veloce verso il rullante e la riconosco!!E' la mia non ci posso credere, non ci posso credere!! L'inefficienza di qualche addetto allo smistamento dei bagagli non ritirati mi ha salvato; Magari è andato a fumarsi una sigaretta o a bersi un caffè penso! Dio benedica la pausetta lavorativa! Chissà da quanto tempo girava a vuoto su quel rullante, quanti passaggi avrà fatto senza che nessuno la togliesse da lì, finche non l'ho vista per caso...
Felice non poco finalmente posso uscire, riconosco Frekre che mi abbraccia. Riconosco il pick-up grigio che
per due anni ci ha portato in giro e con la quale grazie ad esso siamo riusciti a visitare quasi duemila bambini, riconosco le vetrate esterne che contraddistinguono l'aeroporto, le piante di eucalipto, il parcheggio variopinto di facchini, più o meno sani, riconosco “il nuovo fiore”, il suo profumo, la sua brezza, il suo caos, la sua gente, i suoi clacson, il suo dolce calore.
Riconosco Addis Abeba.
2 settembre, ore 23.46
Tra poche ore avrò l'aereo che mi porterà dal Sudan all'Etiopia. Dovrò essere all'aeroporto di Khartoum per le 4 di notte. Atterrerò ad Addis Abeba dopo le otto. Da domani mi sarà motlo difficile collegarmi a internet...penso fino a metà settembre, peccato! E' stato veramente bello sfogarsi in diretta. Sono sicuro che certi attimi mi sarebbero sfuggiti. Sono contento. Oggi siamo riusciti a mettere le basi per il trasferimento dei due bambini etiopi. Verranno al "Salam", qui a Khartoum, se tutto va bene dopo ottobre. Sono felicissimo. Un altro importante obiettivo è stato raggiunto!! Sono davvero felice. Ora rimane una grande stanchezzza ed un po' di tensione.
Tra tutte le fantastiche persone che ho incontrato qui mi ricorderò di Serena, mi aiutato veramente tanto, grazie!
Ora si parte, l'Etiopia e Frekre mi aspettano.
2 settembre, ore 17.22
Dall'aprile 2007 a giugno 2010 i pazienti visitati dal "Salam" sono stati quasi 25.000. Quelli operati circa 2400. Il "Salam" è un vero e proprio gioiello. Sembra davvero un'astronave atterrata in pieno deserto. Tecnologicamente è all'avanguardia, riuscendo perfino ad essere quasi del tutto autonomo. Acqua, corrente, ossigeno..perfino l'erba! Da lavoro a tantissime persone locali, medici, ingegneri, infermieri, giardinieri, autisti..e garantisce alla popolazione, oltre che del Sudan, di tutta l'Africa, un' assistenza ottimale perlopiù gratuita. E'veramente incredibile.
Sono tanti i bambini post operati che rimangono al "Salam" dopo l'intevento chirurgico una volta in piedi, una volta che stanno meglio, nel periodo di convalescenza. Alloggiano sempre all'interno della struttura, in stanze pulite e dignitose. Tra questi ho conosciuto un bambino nigeriano di sei-sette anni, si chiama Daniel. Il suo stupore una volta capito che mi chiamo quasi uguale a lui è stato davvero grande. Ogni volta che mi vede mi urla "Daniel-Daniele !!!". Ogni volta che lo vedo io noto il pezzo di cerotto bianco che fuoriesce dal colletto della felpetta che indossa. Sotto a quel cerotto c'è Emergency, c'è una segnalazione, una prima visita, una seconda con esami più approfonditi, l'organizzazione del viaggio, dei passaporti, degli accompagnatori, il ricovero al "Salam", l'intervento, la rianimazione, il trasferimento nel reparto...
...il ritorno alla vita.
2 settembre, ore 13.22
In entrambe i due giorni trascorsi a Mayo ho fatto visita al suo ospedale civile. Ci andavo accompagnato dallo staff di Emergency con lo scopo di monitorare le condizioni di salute di un bambino di neanche due anni malnutrito. Il primo giorno la cosa mi ha un po' scioccato, piangeva e, considerando le condizioni generali del luogo di cura, l'inesperienza mi ha fatto un po' preoccupare per le sue sorti. Scopro poco dopo invece che è in netto miglioramento. Mi spiegano che il bambino sta reagendo bene. La strada è ancora in salita ma è già qualcosa.
Il secondo giorno l'abbiamo ritrovato che sorrideva mentre dormiva. Evidentemente stava sognando. Rideva bello e beato.
Tra una risata e l'altra, abbiamo quindi deciso di non svegliarlo...
1 settembre, ore 17.51
All'interno del campo profughi vi è un centro dedicato ai bambini malnutriti. Qui vengono rivalutati ed alimentati per mezzo di una specifica pappina iperproteica, ogni bustina corrisponde a 500Kcal. I bambini raggiungono questo posto in tarda mattinata trasportati da Emergency, dopo essere stati selezionati nel nostro centro di Mayo. Il posto ricorda una stalla. E' abbastanza grosso, ai lati del suo perimetro ci sono delle pareti di fanghiglia di circa un metro e mezzo. Dentro è un grande spazio, suddiviso in più casette sempre di mattoni e fanghiglia. Il pavimento tra le varie casette è composto dal terreno sabbioso mentre nelle camere invece è fatto di cemento. La porta d'ingresso che apre al cortile è di latta, una volta all'interno vi si trova uno spazio con tettoia con diverse panchine e, seduto su di un piccolo scabello, vige un anziano che consegna a tutte le mammme dei cartellini di cartone numerati che stabiliranno chi entrerà prima. In una delle casette, la più grossa, all'interno del centro vi si trovano delle donne locali che ricevono le mamme con i piccoli. Fa caldissimo e le mosche non danno tregua. Vi sono dei tappeti per terra cosicchè le madri possano coricarsi o sedersi mentre stimolano il proprio figlio a succhiare la pappetta contenuta nella bustina. Vi è una bilancia al centro della stanza appesa ad una corda. Qui i bambini vengono pesati rimanendo sospesi al soffitto, se non fosse per la tragica situazione sarebbero anche buffi. La realtà invece è drammatica. Alcuni hanno già due, tre anni ma non camminano nè parlano e sono grandi come bambini di venti, trenta mesi. Sono poi deboli, rallentati, poco reattivi. Molto complessi e problematici. Sono i danni della malnutrizione. Oso pensare che, per molti, la pappina non basterà.
Mi giro intorno nè conto almeno una dozzina; Da quando sono entrato è passata circa mezz'ora. Ogni giorno, tale centro, da assistenza a decine di mamme.
31 agosto, ore 23.55
Di sera è possibile recarsi a Khartoum utilizzando un servizio di bus navette. Dopo la cena mi sono convinto ad andare, la voglia di vedere Khartoum di notte, dopo il Ramadan, è stata troppa. Non eravamo in tanti, solo in tre: io e due tecnici italiani. Lo staff non si concede troppe uscite alla sera. Lo si può fare ma è bene tenersi in mente che è pur sempre rischioso. All'uscita c'è da firmare un registro e portare con sè il cellulare ospedaliero. Bisogna sempre essere contattabile. Scopro più tardi che ben pochi sono usciti prima di questa sera a quest'ora,le dieci, anche l'autista locale mi sembra stupito. Arriviamo poco dopo, qualche acquisto veloce e siamo pronti a ritornare. E' stato molto divertente, sembravamo conoscerci da tanto. Per un attimo sembrava di essere con gli amici in vacanza in qualche città famosa del mondo. Il pulmino ci ha lasciato al centro di una via, credo molto conosciuta. Il traffico era elevato e la strada era piena di banche e negozietti di ogni genere. Dopo che il pulmino ci ha scaricato, abbiamo camminato lungo la via, sul ciglio della strada. Tutto sommato Khartoum ha guadagnato dei punti. Se mi avessero detto un mese fa che il 31 agosto verso le undici della notte avrei camminato lungo le strade di Khartoum insieme ad un ragazzo di Torino ed uno di Milano, conosciuti da pochissimo, avrei stentato a crederci. E' stato veramente molto emozionante. Il massimo l'abbiamo vissuto mentre aspettavamo il pulmino per rientrare. Ci siamo fermati sul ciglio della strada dove è tipico incontrare dei minuscoli quanto rustici banchettini all'aria aperta, molto caratteristici. Dietro i tanti tavolini ci sono delle donne silenziose, sempre controllate, poco distanti, da qualche uomo. Davanti al banchetto vi sono minuscole sediette per i clienti. Qui vi servono lo Ja-bahna, il classico caffè sudanese. Il migliore "caffè" di tutta la città, mi dicono, lo si trova solamente in questi posti, sulla strada. Scopro poi che in alcuni punti commerciali della città vendono perfino il kit dotato di tavolino, cassetta di brace per scaldare l'acqua e sediette.
31 agosto, ore 19.40
Domani sera dovrei forse uscire a cena, a Khartoum, insieme ad alcuni ragazzi che lavorano al "Salam". Sono curioso di spiarla anche solo per poco, a caccia d'istantanee impressioni; per ora l'ho solo "intravista" durante il mio tragitto dall'aeroporto all'ospedale. Non mi ha fatto una grandissima impressione a dire il vero. Ma c'è da considerare anche che durante il giorno, in questo periodo dell'anno, le persone svolgono il Ramadan. Dopo le sette di sera è tutta un'altra storia..
31 agosto, ore 17.00
Sono di ritorno da Mayo, posizionata ad una ventina di km da Khartoum. Qui è presente un centro sanitario pediatrico gestito da emergency. Visita lattanti e bambini dalle otto del mattino fino a tardo pomeriggio. Mayo è un campo profughi. La gente è finita qui per scappare dalla guerra del sud. Ma oltre a loro sono presenti profughi provenienti da tutto il Sudan, di varie etnie e credenze religiose. Ora nel sud la situazione sembra stabile ma molti abitandi oramai hanno trovato lavoro in capitale e non se ne vanno più.
E' una baraccopoli, qui regna la miseria. E' difficila raccontarla, non ho potuto scattare delle foto perchè è vietato dalla legge ma, anche se avessi potuto, forse non avrei trovato il coraggio di farlo. E' un vero e proprio campo per rifugiati. Il terreno è arido e sabbioso. La sabbia rossa ti entra perfino in bocca. Le case, se così si possono chiamare, non sono altro che mattoni mischiati a terriccio. Non più alte di due metri, alcune sono fatte di latta altre ancora addirittura di teloni o cartoni. Molte non hanno il tetto e non essendoci fognature capita spesso di vedere gente che urina o defeca per strada. E' sporchissima, sono dispersi qua e là migliaia di rifiuti. Migliaia di sacchetti di plastica volano in cielo trasportati dal vento, oggi abbastanza forte poi, quando cadono per terra, si accumulano in vari posti, tra le case, gli alberi, i pali della luce. Tutto qui è ricoperto da sacchetti di plastica è veramente incredibile. I bambini se ne vanno in giro in gruppetti, cercando di trovare qualcosa che possa esser loro utile, ma rimangono solo gli scarti degli scarti. Quello che poteva servire, è stato già raccolto da qualcuno passato prima di loro. Migliaia di persone vivono qui convivendo con polvere, feci, urina ed una vastità incalcolabile di rifiuti tutti i giorni. Mi chiedo come facciano.
Oggi ho assistito alle visite in ambulatorio di alcuni bimbi. Molti di loro sono malnutriti o hanno infezioni di vario genere. Ho fatto poi visita al più grande ospedale di Mayo, siamo andati a vedere come stava un biccolo paziente, lo avevamo trasferito il giorno prima perchè grave. Scopro che dovrà essere trasferito ancora, questa volta a Khartoum. È difficile sopportare l'idea che esistano luoghi nel mondo dove le persone non possano essere curate degnamente. O, se ci sono, sono spesso a centinaia di chilometri, non affidabili, sporchi e non gratuiti. La miseria spesso nei paesi più poveri rincorre la speranza. Sarebbe più giusto che una speranza di salute cerchi e trovi la miseria. Emergency in qualche modo lo fa e prova a cambiare le cose. L'ospedale di Mayo mi ricorda un palazzo bombardato. E' fatto di mura (è già qualcosa), ed in qualche modo sembrerebbe funzionante. C'è parecchia gente. Le due donne e l'uomo sudanese che mi accompagnano mi dicono che è grande; in verità non lo è tanto, è costruito su due piani, i pazienti sono ammassati in stanze con diverse finestre rotte. La sporcizia è tanta ed i bambini sono ricoperti di mosche, sul pavimento vi poi sono insetti e formiche, oltre che persone ed il personale è poco. E' un ospedale per poveri, poverissimi. Un tipico ospedale civile africano. Vige un clima di rassegnazione alla malattia, la cura, per molti, è troppo cara sotto tutti i punti di vista. All'interno dell'ospedale esiste un piccolo ristoro, prendo un panino e, forse per la fame, lo trovo squisito. E' fatto con polpette di ceci ricoperte con due salse della quale non ho capito gli ingredienti. Una volta ritornato al centro pediatrico salgo di nuovo sul pick-up per spostarmi a dare una mano nello scaricare alcuni mobili a casa di una infermiera locale. Conosco i suoi figli, bellissimi. Lei è scappata dalla guerra ed è rimasta incastrata a Mayo, fortunatamente poi è arrivata Emergency. La casa è un ammasso di mattoni, il tutto unito grazie al fango. Non esistono porte ne finestre. Il pavimento è lo stesso terriccio sabbioso della strada, formato da sabbia finissima e rossa, c'è poi una brandina che divide le due stanze posizionata all'aria aperta, che guarda il cielo, in un piccolo spazietto fuori. Mayo si estende per chilometri e chilometri. Questa casa è uguale a migliaia. Mi sembra un labirinto di povertà, dove regna il nulla, il caos, fatto di miseria. Non si salva nessuno.
Scopro poi che il campo profughi è suddiviso in sei zone, organizzate sia dal punto di vista politico che religioso, dove all'interno si trovano scuole, sedi di associazioni umanitarie locali, luoghi di culto. Ogni zona è poi "amministrata" da due figure in modo particolare. Imporantissime. Una di queste è il sultano, il quale ricopre un ruolo "spirituale" o meglio "religioso". L'altra è lo "chief of popular committe" che ha più che altro un ruolo politico, potremmo chiamarlo un sindaco. Per Emergency è fondamentale, se vuole essere ben accettata in ognuna delle sei zone, mantenere buoni rapporti con entrambi. Mayo è particolarmente pericolosa, ci è assolutamente vietato andare in giro da soli e di notte è sconsigliatissima da girare. La delinquenza, insieme all'alcol, nonostante quest'ultimo sia vietato, sono presenti ed i morti dovuti a risse, tentativi di rapine, al tasso alcolico ed agli scontri interni legati a band giovanili, mi dicono, frequenti.
30 agosto, ore 23.15
Si cena tutti insieme al "Salam". Esistono dei luoghi predisposti, delle mense in comune dove la gente va e viene. C'è che mangia e rimane fin dopo mangiato a fare due chiacchiere, c'è invece chi cena al volo e si ritira subito in stanza. Chi mangia in piedi, chi solo un boccone e ritorna in ospedale a finire il lavoro. E' un via vai di persone, donne, uomini, professionisti, medici ed infermieri, africani, europei, americani. Io osservo, timidamente. Mi limito ad accennare da dove provengo, che lavoro faccio... Si presentano in tanti, mi chiedono se sono nuovo, quanto tempo ho intenzione di fermarmi. Rispondo pochi giorni, sono un "guest". Alcuni di loro invece rimarranno al "Salam" minimo sei mesi. Altri sono qui da più di un anno. Non deve essere affatto facile. Sei mesi sono lunghissimi. Un anno un'eternità.
Ed Intanto il "Salam" vive.
Il primo giorno si è concluso dunque così. Molto tranquillamente.
Se ripenso a tutto ancora non ci credo. Devo staccare l'interruttore sennò rischio un cortocircuito, quindi dopo aver cenato, decido di ritirarmi subito in stanza, non prima di essermi procurato però due bei bicchieroni di acqua fresca.
Non dormo da due giorni, sono davvero esausto...
30 agosto, ore 18
Abbiamo il Nilo a poche centinaia di metri! Ho appena finito il tour. Sono rimasto davvero a bocca aperta. Questo ospedale, considerando il contesto che lo circonda, è davvero miracoloso. Sto imparando piccole ma preziose cose della cultura sudanese e riguardo la filosofia nonché la mission di emergency. Una cultura di pace, diritto alla salute per tutti, senza distinzioni, gratuita ed al massimo dei livelli. Perchè gli uomini sono tutti uguali e vanno curati tutti nel migliore dei modi. Anche i più poveri, quelli più dimenticati.
E' tutto dannatamente bello. Tutto qui sembra avere maggior senso.
Le foto sono proibite al di fuori della struttura, la legge lo vieta. Peccato, non credo riuscirò a farvi vedere Khartoum. Cercherò di portare a casa qualche immagine del “Salam”, ma non le pubblicherò.
Me lo sto godendo il “Salam”; passeggiando nei suoi incatevoli vialetti, circondati da alberi e fiori profumatissimi guardo Il cielo che è azzurrissimo. Ci sono tantissimi uccelli, molti sono blu, un “blu metallizzato”; Mi era capitato di fotografarne uno in Etiopia. Hanno le ali macchiate di verde e sono numerosissimi. Nonostante il caldo sia quasi insopportabile (devo ancora abituarmi, ma c' è veramente caldissimo) permane costantemente una leggera brezza, sarà il Nilo, che, mischiata al profumo dei fiori e delle piante e siepi, veramente numerosissime ed ottimamente curate, rendono tale posto un luogo meraviglioso, di pace, rassicurante, utilissimo per pazienti in convalescenza.
E' davvero un ospedale di altissimo livello.
30 agosto, ore 13
L'accoglienza è stata ottima, lo staff di Emergency mi è venuto a prendere all'aeroporto. Una volta risolte le pratiche del visto ho percorso sul pick-up di questa fantastica associazione i primi km per le strade di Khartoum. Come prima impressione la città mi appare poverissima, molto trafficata, ed in questo ricorda molto Addis Abeba, ma è l'unica cosa in comune; Addis Abeba infatti mi sembra avanti anni luce. Tutto sommato se pur tra mille contraddizioni la considero "viva". Khartoum invece, sembra una città fallita, ferma, stagnante, acciecata dalla sua polvere, quasi senza speranze. Una città abbandonata a se stessa. Fa un gran caldo e puzzo come una capra. Dopo una ventina di chilometri arriviamo al “Salam”. Il più grande centro di cardiochirurgia d'Africa mi appare da subito stupendo. Sono senza parole. E' letteralmente una oasi in mezzo al nulla. E' immenso, organizzatissimo. Lo staff è efficentissimo e regna un clima solidale, sereno di grande collaborazione e rispetto tra i pazienti, provenienti da tutta l'Africa, il personale locale e quello internazionale. L'ospedale è organizzato magnificamente dispone di bellissimi appartamentini per il personale, sale operatorie, terapia intensiva, radiologia con tac, laboratoio, emoteca, uffici amministrativi, mensa, lavanderia, caffetteria...è tutto così "giusto".
Ora mi concedo un'oretta di pausa, scrivo le mie primissime impressioni, carico poi l'mp3. Sto letteralmente “colando dal sudore” devo rilassarmi un po' non dormo da quasi quarantotto ore ma non ho sonno, credo di avere l'adrenalina al top.
A volte mi soffermo a pensare se è tutto vero?
Sono davvero qui?
Si ci sono davvero!!!
Pìù tardi farò un mini tour all'interno. Domani mi aspetta Mayo, il piccolo centro sanitario pediatrico a venti km da qui, dentro uno dei più grandi campi profughi del mondo. Il mio obiettvo però rimane quello di provare a mettere le basi per il trasferimento di due bambini visitati in etiopia, affinche lo staff di emergency possa visitarli e, magari, intervenire. Ho un contatto. Domani ci proverò.
30 agosto, ore 6
Mi trovo all'aeroporto del Cairo. Sto gelando (causa aria condizionata!), sono riuscito a collegarmi alla rete fantastico! Ne approfitto per raccontarvi come sta andando. Devo raggiungere Khartoum nella notte, tra un'ora e mezza avrò il volo. Sono seduto su delle comode poltrone di color rosso. Sono appena atterrato da Milano, il viaggio è stato tranquillo. Mi ripeto in testa di affrontare un passo alla volta. E' una grande sfida e voglio riuscire. Intanto noto che il gate del biglietto non coincide con quello visualizzato sul monitor!! Andiamolo a cercare. Lo trovo; E' F3 invece di H2, meno male che ho controllato il monitor!! Ora mi rilasso, che sonno!!
Spesso mi sale una grande tristezza e cerco ancora una volta di scacciare la malinconia, a dire il vero la mia unica nemica in queste prime ore di questo viaggio che mi porterà prima in Sudan, come ospite di Emergency poi in Etiopia, per conto dell'associazione piacentina “Amici di Michele Isubaleu”
3 commenti:
Ho l'impressione che questa esperienza ti rimarrà dentro per molto molto tempo...
Dai che ormai sei a "casa".
See you soon
Carissimo Dani, dopo averti letto non posso che vergognarmi ulteriormente di partire stasera per il Mar rosso, per la mia bella vacanzina borghese! L'idea poi che il Sudan sia lì "sotto", mi fa sentire ancora più a disagio! Forse basterebbe cambiare volo (ed avere un passaporto!) per essere tra poche ore a fare qualcosa di veramente utile per qualcuno...un sogno che ho fin da bambina senza il coraggio (diciamo pure le palle) per realizzarlo. Come posso esprimerti, caro il mio eroe,tutta la mia stima per quello che stai vivendo (esistendo! e non vegetando...!)?? Grazie per esserTi raccontato, oltre ad aver raccontato, cosicchè i nostri occhi hanno visto attraverso i tuoi, il nostro cuore ha sentito, pianto, ma anche sorriso di speranza insieme al tuo! Un abbraccio...forte!
Daniela
Grazie Camillo e grazie Dani. Leggere i vostri commenti mi ha reso ancora più felice. VI ABBRACCIO!!
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