In Africa "l'umanità" è davvero gigante.
Vecchia, vecchissima ma con dentro nell'anima ancora una grande forza di vivere, esistere e resistere.
Vivere, esistere, resistere.
Credo proprio che l'uomo non lo faccia in nessun altro luogo così bene come in Africa.
Ho provato ad immaginarla "l'umanità" che contraddistingue l'Africa. Come fosse una persona reale, dotata di tutte quelle gioie e dolori che contraddistinguono la vita.
La immagino un pugile. Fiero ed a fine carriera, a pochi secondi dalla disfatta. Una carriera di quelle senza protagonismi, neanche troppo brillante. Lo vedo per l'ultima volta sul ring, a combattere il suo ultimo incontro, con la faccia gonfia, sudata e ferita, barcollare ma resistere davanti ad un'avversario molto più giovane, più furbo, più svelto, più veloce.
Ed è facile pensare, a questo punto, che il vecchio pugile si possa rappresentare etichettandogli la povertà, la miseria, il bisogno di aiuto, la mancanza dei più elementari diritti. Mentre il giovane ed instancabile pugile sia raffigurato come il salvatore, il nuovo che avanza, la tecnologia, il benessere, la strada maestra.
Ed invece non penso affatto sia così.
Il giovane pugile in realtà, scaltro, forte, apparentemente invincibile, siamo tutti noi.
Noi tutti che abitiamo nel nord del mondo, in quella parte ricca e "fortunata" o meglio attrezzata, con la nostra eterna giovinezza, la nostra bellezza estetica ed il nostro benessere materiale. La nostra umanità. Siamo noi e la nostra globalizzazione, la nostra economia che uccide e non lascia scampo. Siamo noi e la complicità degli stessi uomini di potere africani, con la loro corruzione, spesso travestita con eleganti abiti da politico internazionale, sempre pronti ad abbracciare con l'inganno i donatori internazionali.
Mentre il vecchio pugile è tutta la sua gente, con i suoi mille pregi e difetti. E' la loro terra con i suoi colori ed i suoi sapori. Sono tutte le persone, uomini o donne, africani e non che, tra mille difficoltà oppur devoti a qualche Dio, cercano pur sempre di cambiare qualcosa, cercano pur sempre di dare un senso all'aiuto, rendendolo materia, farlo vivo e trasformandolo in un ospedale, garantendo cure gratuite di alta qualità, costruendo un pozzo, investendo sull'educazione sulle scuole, garantendo una pappina ed un tetto a migliaia di malnutriti.
Uomini che cercano di tenere al guinzaglio la dignità di altri uomini. Per non farla scappare.
Per non lasciarli al buio senza nemmeno una luce. Per dargli almeno una possibilità.
Ed eccola "l'umanità delle cose". L'esempio degli ospedali di Emergency in questo senso è straordinario.
Vi voglio raccontare di un piccolo uomo che ho conosciuto all'interno della sua officina, in una viuzza nascosta ed impolverata di Addis Abeba.
Un pomeriggio accompagno Suor Sandra a vedere se il forno a legna per la pizza è finalmente riparato. Grande idea quella di voler nutrire i piccoli della scuola con la pizza, peccato che il forno trovato e donato alle suore è purtroppo rotto ma la persona che stiamo cercando è capace di ripararlo. Il problema è che doveva adempiere a questo compito da mesi! Andiamo a visionare quindi a che punto sono i lavori.
Arriviamo. Davanti a noi troviamo un piccolo uomo, simpatico solo a vederlo. Ci accoglie nella sua officina meccanica piena di cianfrusaglie, unta, rumorosa, con all'interno motori, macchine, moto, insomma di tutto, compreso il nostro forno a legna.
Mi ricordo il suo nome: Angelino.
Un ometto davvero buffo, umile, fiabesco. Siciliano, da cinquantasei anni in Etiopia, insegna il lavoro da meccanico ad un gruppo di giovani ragazzi etiopi che lavorano nella sua officina.
Mi racconta degli italiani in Etiopia. Della loro maleducazione e della loro mancanza di rispetto per questo popolo. Lo ascolto incuriosito, assetato ma anche un po' sorpreso.
Mi fa comprendere l'importanza nell'ascoltarla la gente "ci-vuole-molta-molta-pazienza...anche-quando-non-capisci-una-parola-di-quello-che-ti-dicono" garantendomi che si verrà presto premiati con la loro fiducia la quale, una volta loro, "mai-ti-tradiranno".
Lo ascolto affascinato all'interno del suo salotto ricco di cose, invaso dal fumo di sigaretta, stupito più che dalla sua storia, dalle sue storie, dai suoi viaggi intrapresi ed infiniti e dalle persone incontrate.
Per me è davvero stato un gran momento. Mi sorprende ancora dicendomi che lui spesso urla e sgrida ad alta voce i suoi ragazzi anche offendendoli bestemiandogli contro, ma ci confida con un sorrisetto che subito dopo se ne pente e senza dirgli niente, sentendosi in colpa, cerca di farsi perdonare...magari mandandoli a casa prima finendo lui il loro lavoro o concedendogli maggior riposo "anche-soli-cinque-minuti" o ancora, nascondendogli qualche Birr (la moneta etiope) in più nella busta paga a fine mese.
Poi, fedele alla storia, ci ricorda quello che dicevano i vecchi etiopi dopo essere stati aiutati a liberarsi dagli italiani-invasori per mezzo degli inglesi:
"E'-semrpe-meglio-un-calcio-nel-sedere-dagli-italiani-che-una-carezza-dagli-inglesi"
...rimembrando gli inglesi che, una volta cacciati gli italiani, ne hanno combinate di peggio.
Parlare con Angelino è stato come rubargli qualcosa.
Forse un po' della sua umiltà, forse un po' della sua umanità che, credetemi, considerando anche il contesto, vale oro.
A volte non servono grandi esempi.
E ci lasciammo dunque così. Salutandoci tra foto, abbracci e sorrisi.
E con Suor Sandra arrabbiata perchè il forno che credeva di trovarsi oramai aggiustato e pronto all'uso Angelino non l'aveva nemmeno guardato.
Ma, come dice Angelino, "ci-vuole-molta-molta-pazienza".
Vecchia, vecchissima ma con dentro nell'anima ancora una grande forza di vivere, esistere e resistere.
Vivere, esistere, resistere.
Credo proprio che l'uomo non lo faccia in nessun altro luogo così bene come in Africa.
Ho provato ad immaginarla "l'umanità" che contraddistingue l'Africa. Come fosse una persona reale, dotata di tutte quelle gioie e dolori che contraddistinguono la vita.
La immagino un pugile. Fiero ed a fine carriera, a pochi secondi dalla disfatta. Una carriera di quelle senza protagonismi, neanche troppo brillante. Lo vedo per l'ultima volta sul ring, a combattere il suo ultimo incontro, con la faccia gonfia, sudata e ferita, barcollare ma resistere davanti ad un'avversario molto più giovane, più furbo, più svelto, più veloce.
Ed è facile pensare, a questo punto, che il vecchio pugile si possa rappresentare etichettandogli la povertà, la miseria, il bisogno di aiuto, la mancanza dei più elementari diritti. Mentre il giovane ed instancabile pugile sia raffigurato come il salvatore, il nuovo che avanza, la tecnologia, il benessere, la strada maestra.
Ed invece non penso affatto sia così.
Il giovane pugile in realtà, scaltro, forte, apparentemente invincibile, siamo tutti noi.
Noi tutti che abitiamo nel nord del mondo, in quella parte ricca e "fortunata" o meglio attrezzata, con la nostra eterna giovinezza, la nostra bellezza estetica ed il nostro benessere materiale. La nostra umanità. Siamo noi e la nostra globalizzazione, la nostra economia che uccide e non lascia scampo. Siamo noi e la complicità degli stessi uomini di potere africani, con la loro corruzione, spesso travestita con eleganti abiti da politico internazionale, sempre pronti ad abbracciare con l'inganno i donatori internazionali.
Mentre il vecchio pugile è tutta la sua gente, con i suoi mille pregi e difetti. E' la loro terra con i suoi colori ed i suoi sapori. Sono tutte le persone, uomini o donne, africani e non che, tra mille difficoltà oppur devoti a qualche Dio, cercano pur sempre di cambiare qualcosa, cercano pur sempre di dare un senso all'aiuto, rendendolo materia, farlo vivo e trasformandolo in un ospedale, garantendo cure gratuite di alta qualità, costruendo un pozzo, investendo sull'educazione sulle scuole, garantendo una pappina ed un tetto a migliaia di malnutriti.
Uomini che cercano di tenere al guinzaglio la dignità di altri uomini. Per non farla scappare.
Per non lasciarli al buio senza nemmeno una luce. Per dargli almeno una possibilità.
Ed eccola "l'umanità delle cose". L'esempio degli ospedali di Emergency in questo senso è straordinario.
Vi voglio raccontare di un piccolo uomo che ho conosciuto all'interno della sua officina, in una viuzza nascosta ed impolverata di Addis Abeba.
Un pomeriggio accompagno Suor Sandra a vedere se il forno a legna per la pizza è finalmente riparato. Grande idea quella di voler nutrire i piccoli della scuola con la pizza, peccato che il forno trovato e donato alle suore è purtroppo rotto ma la persona che stiamo cercando è capace di ripararlo. Il problema è che doveva adempiere a questo compito da mesi! Andiamo a visionare quindi a che punto sono i lavori.
Arriviamo. Davanti a noi troviamo un piccolo uomo, simpatico solo a vederlo. Ci accoglie nella sua officina meccanica piena di cianfrusaglie, unta, rumorosa, con all'interno motori, macchine, moto, insomma di tutto, compreso il nostro forno a legna.
Mi ricordo il suo nome: Angelino.
Un ometto davvero buffo, umile, fiabesco. Siciliano, da cinquantasei anni in Etiopia, insegna il lavoro da meccanico ad un gruppo di giovani ragazzi etiopi che lavorano nella sua officina.
Mi racconta degli italiani in Etiopia. Della loro maleducazione e della loro mancanza di rispetto per questo popolo. Lo ascolto incuriosito, assetato ma anche un po' sorpreso.
Mi fa comprendere l'importanza nell'ascoltarla la gente "ci-vuole-molta-molta-pazienza...anche-quando-non-capisci-una-parola-di-quello-che-ti-dicono" garantendomi che si verrà presto premiati con la loro fiducia la quale, una volta loro, "mai-ti-tradiranno".
Lo ascolto affascinato all'interno del suo salotto ricco di cose, invaso dal fumo di sigaretta, stupito più che dalla sua storia, dalle sue storie, dai suoi viaggi intrapresi ed infiniti e dalle persone incontrate.
Per me è davvero stato un gran momento. Mi sorprende ancora dicendomi che lui spesso urla e sgrida ad alta voce i suoi ragazzi anche offendendoli bestemiandogli contro, ma ci confida con un sorrisetto che subito dopo se ne pente e senza dirgli niente, sentendosi in colpa, cerca di farsi perdonare...magari mandandoli a casa prima finendo lui il loro lavoro o concedendogli maggior riposo "anche-soli-cinque-minuti" o ancora, nascondendogli qualche Birr (la moneta etiope) in più nella busta paga a fine mese.
Poi, fedele alla storia, ci ricorda quello che dicevano i vecchi etiopi dopo essere stati aiutati a liberarsi dagli italiani-invasori per mezzo degli inglesi:
"E'-semrpe-meglio-un-calcio-nel-sedere-dagli-italiani-che-una-carezza-dagli-inglesi"
...rimembrando gli inglesi che, una volta cacciati gli italiani, ne hanno combinate di peggio.
Parlare con Angelino è stato come rubargli qualcosa.
Forse un po' della sua umiltà, forse un po' della sua umanità che, credetemi, considerando anche il contesto, vale oro.
A volte non servono grandi esempi.
E ci lasciammo dunque così. Salutandoci tra foto, abbracci e sorrisi.
E con Suor Sandra arrabbiata perchè il forno che credeva di trovarsi oramai aggiustato e pronto all'uso Angelino non l'aveva nemmeno guardato.
Ma, come dice Angelino, "ci-vuole-molta-molta-pazienza".
Nessun commento:
Posta un commento