Stanotte mi ha toccato emotivamente molto prendermi cura di una donna marocchina in balia di una fortissima crisi isterica subentrata dopo essere stata avvisata, poco prima, della morte della povera madre avvenuta in Marocco. Ricordo limpidamente i suoi grandi occhi neri, colmi di lacrime... sbarrati verso l'alto; il suo corpo paralizzato, contratto, disteso sul lettino, le sue parole urlate al cielo in lingua araba. La donna sembrava totalmente dissociata dallo spazio-tempo.
L'elaborazione del lutto è sempre una fase molto intima, personale e delicata dell'esistenza. Di certo non saranno i due milligrammi di delorazepam diluiti in cento millilitri di fisiologica somministrata per endovena da noi ad aiutarla in questo passaggio... ci vorrà tempo, calma, silenzio.
Utilizzare il vocabolo lutto oggi è quasi scandaloso soprattutto in un clima sociale e storico che invita all’accumulo di oggetti, di relazioni, dove il vincente sembra colui che consuma persone e situazioni alla massima velocità. Tuttavia, difficile da credere, il lutto richiama dei limiti (di varia natura) e per questo è difficilissimo da accettare.
Utilizzare il vocabolo lutto oggi è quasi scandaloso soprattutto in un clima sociale e storico che invita all’accumulo di oggetti, di relazioni, dove il vincente sembra colui che consuma persone e situazioni alla massima velocità. Tuttavia, difficile da credere, il lutto richiama dei limiti (di varia natura) e per questo è difficilissimo da accettare.
Questo triste episodio mi ha permesso di riflettere su alcuni aspetti legati alle persone migranti.
Spesso queste famiglie, composte da uomini e donne obbligati un giorno a fuggire dal proprio paese con la speranza di garantirsi un futuro migliore, sono costrette a vivere lontano dal proprio nucleo famigliare originario per molto tempo. I contatti con i propri cari (un tempo quotidiani e numerosi ancor di più se facenti parte di culture collettiviste...) diminuiscono improvvisamente, diventano sporadici (telefono, internet..), si fanno sempre più distanti, astratti.
Questi eventi possono provocare alla lunga delle disarmonie, tristezza, conflitti e conseguenti strategie: pensiamo a quanto sia importante il ruolo della donna/madre magrebina, oppure al fenomeno dei bambini cinesi inizialmente presenti in Italia ma successivamente cresciuti dai nonni e parenti in Cina...
Vi è un altro aspetto non meno importante a mio avviso.
Spesso non facciamo caso che la nostra società "occidentale", che ci piaccia oppure no, deriva fortemente da una cultura individualista; i rapporti reciproci fra gli individui non sono serrati (anzi in molti casi obbligati) e tutti s’occupano soltanto di se stessi o dei loro parenti stretti (alcuni nemmeno di quelli). Esistono tuttavia società collettiviste dove gli individui sono, dalla nascita, accolti in gruppi forti e stabili che si offrono protezione in cambio di lealtà incondizionata. Nelle culture collettiviste le persone prestano attenzione ai bisogni degli altri e rimangono in rapporto tra loro anche quando non ne traggono particolari benefici.
Immaginate quindi quanto sia difficile gestire una fase di distacco (lutto-conflitto) tra alcuni protagonisti di queste dinamiche sociali. Pensiamo a quanto sia difficile affrontare il lutto, ritornando alla nostra storia di stanotte, per questa donna oggi... così lontana dalle proprie origini, dai propri luoghi nativi (interiori e esteriori)... grazie al quale tutto, in breve tempo, aveva preso una sua "forma": una cultura personale, delle credenze, dei comportamenti, dei tabù e che oggi, senza più la madre, sarà costretta dolorosamente a riconsolidare per un attimo dentro di sé.
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