Voglio condividere con Voi amici, in questo piccolo spazio riservato anche alla professione infermieristica, alcune
considerazioni in merito alle mie esperienze come semplice volontario internazionale
nel mondo.
Sento da tempo, davvero
mia, una stupenda frase di Jorge Luis
Borges che dice: «Sono cieco e ignorante, ma intuisco che sono molte le
strade». Amo da sempre osservare, scoprire, capire a fondo, testimoniare…
ritengo siano state proprio queste mie particolarità, (insieme al mio amato
blog viveresisteresistendo.com), a portarmi a vivere le esperienze che mi accingo a raccontarvi...
Da quando ho intrapreso
il mio percorso di studi fino alla laurea in infermieristica, ho sempre pensato
di voler mettere la mia formazione al servizio di quelle persone che, senza
colpe, vivono in condizioni di povertà (cioè mancanza di opportunità!) ed
emarginazione.
Alla luce di ciò, appena
posso, salgo su un aereo e raggiungo quei posti dove ho sempre pensato di
andare… Luoghi dove le persone sopravvivono resistendo a governi corrotti, alla
povertà, alla mancanza dei più elementari diritti, come il diritto alla salute,
alla casa, al lavoro e alla libertà d'espressione. Non è per niente facile
ma con tanta buona volontà, la ricerca infinita dei contatti giusti e
sacrificando molte delle mie ferie per ora riesco a farcela!
I miei viaggi, come
semplice volontario internazionale, sono iniziati nel 2009 e da allora non mi
sono più fermato. Grazie all'associazione piacentina "Amici di Michele
Isubaleu" ho prima conosciuto l’Africa e in particolare lo straordinario popolo
etiope, rispettoso, gentile e culturalmente ricchissimo. E' difficile, in poche
righe, trasmettervi ciò che ho vissuto: la profondità di alcuni incontri, la
solidarietà fra esseri umani, la voglia di comprendere “l’altro”… è stato un
viaggio davvero emozionante, ricco di lavoro e di soddisfazioni.
Nel 2010, con la stessa associazione,
sono ripartito per l'Etiopia.
Questo secondo viaggio
l'ho vissuto in modo diverso rispetto al primo: è stato più intenso e toccante.
Senza più quei
"bagliori" della prima volta, la realtà ha preso il sopravvento e
diverse cose sono state difficili da accettare. Tra il 2010 e il 2011 sono ritornato in Africa altre tre
volte; da solo sono stato prima in
Sudan, ospite del centro di cardiochirurgia di Emergency, e poi ancora in
Etiopia.
Qui ho avuto la fortuna
di incontrare di nuovo mamme fortissime, contadini rurali e diversamente abili quasi
totalmente abbandonati (pensate cosa comporta esserlo in un paese del Sud del
mondo…); tutte persone con una forte dignità, umili, ricche di umanità alle
quali ho potuto stringere forte le mie mani e dalle quali ho solo potuto
imparare. Essere poi ospite in Sudan, nella grande realtà del "Salam"
di Emergency, per me è stato un onore e lavorare di nuovo in Etiopia… un
piacere.
In Africa tutti i mie
agi, tipici della società occidentale basata sull’eccessivo consumismo, hanno “sbattuto”
più volte contro la povertà, la fame e la sottonutrizione.
Quest’ultima, se non
contrastata, diventa ben presto malnutrizione la quale, peggiorando
ulteriormente, si trasforma in ultima istanza nel marasma infantile... nel “kwashiorkor”.
Si tratta della sindrome
da denutrizione del lattante e del bambino causata da grave carenza di proteine
e di sostanze micronutrienti (elettroliti, minerali e vitamine) quali il ferro,
lo iodio, la vitamina A, il calcio, la vitamina C ecc.
Gli effetti? Astenia,
perdita di peso, ritardi nella crescita, gozzi, cretinismo, deficit alla vista
nonché maggiore vulnerabilità a malattie infettive quali il morbillo, le infezioni
respiratorie, la diarrea.
Quanto specificato sopra,
insieme al mollusco contagioso, carie dentali, tigna, tifo, congiuntiviti e
dermatiti sono state le principali patologie che ho riscontrato durante le mie
piccole esperienze (senza dimenticare ovviamente HIV e TBC).
Ad ammalarsi di più lattanti
e bambini e il solo pensiero dovrebbe far rabbrividire!
Nel novembre 2011 ho
deciso di rimettermi ancora una volta in gioco iscrivendomi al master in cooperazione
internazionale presso l'università di Modena. Grazie ad esso ho avuto
la grande opportunità di conoscere tanti altri giovani cooperanti provenienti
da tutta Italia (confrontare le nostre esperienze è stata la cosa più bella) ma,
soprattutto, ho potuto mettermi alla prova in un altro continente: l'America
Latina.
Chi di voi s'interessa di
questioni internazionali sa bene quanto l'America Latina e in particolare il
Brasile (insieme agli altri stati del BRIC, Russia, India e Cina) sia in
fermento; in particolare mi premeva approfondire le questioni legate ai cambiamento
politici e sociali che si sono abbattuti nel continente Sud Americano e al
nuovo modello di sviluppo economico (mi interessava inoltre scoprire il più
possibile anche dei movimenti sem
terra e l'approccio della gente comune alla teologia della
liberazione... ).
Spinto da questo nuovo
interesse, grazie all’associazione Pachamama, ho volato con Maria (collega
Infermiera di Torino) in Alagoas, uno degli stati più poveri del Brasile e di
tutto il continente.
Insieme abbiamo cercato
di migliorare il grado di "coscientizzazione della salute" di tanti
contadini (i sem terra)
che, supportati da movimenti popolari (la CPT- Commissione Pastorale della
Terra) aiutano a resistere contro le forze del latifondismo, così ancora forte
e disseminato.
A Gennaio, sono
stato in Kenya per la prima volta, ospite del Fatima Health Center di Ongata
Rongai, nei pressi di Nairobi. Qui ho incontrato persone
che da decenni con coraggio, fede e passione, hanno deciso di dedicarsi a
centinaia di persone bisognose: anziani, donne gravide, bambini abbandonati o
rimasti orfani, malati di Hiv, Tbc, malaria, amebiasi, diarrea ecc.
Alcuni di questi coraggiosi
volontari ho avuto la fortuna di conoscerli personalmente percorrendo con loro
un pezzetto di cammino insieme; altri, che non erano presenti in quei giorni,
li ho conosciuti attraverso racconti
fatti durante una pausa, a tavola, durante uno spostamento...
sballottato su di un pick-up... su strade polverose e sterrate. Qualcun altro, invece, che
ci ha lasciato da qualche tempo, l’ho conosciuto attraverso il ricordo vivo e
ben presente tra le mura del Fatima Health Center: basta passeggiare tra i vialetti
ben curati e i servizi sanitari a disposizione della popolazione per rendersene
conto, per essere avvolti da un'accogliente e fiera sensazione. Nato in modo
per niente facile negli anni 70, il Fatima oggi è diventato un importante
centro di riferimento per la salute e la crescita sociale di tantissime persone
bisognose.
Infine a ottobre di quest'anno, molto probabilmente, volerò in India per un'altra breve missione... non vedo l'ora!
La nostra società è
spesso dominata dall’individualismo, da un certo egoismo e menefreghismo
sociale per non parlare della corruzione… ecco, se c’è una cosa che ho potuto
imparare dai miei viaggi è che spesso, molto spesso, individualismo e tutto il
resto sono sopraffatti e annientati se messi al confronto diretto con quelle
persone che provengono dalla pancia dei problemi e che lottano tutti i giorni
attraverso la carità, la cultura, la compassione, la formazione (e
l'informazione) contro le disuguaglianze, la mancanza di diritti, la mancanza
di legalità. Per quanto mi riguarda ho sempre sperato d'incontrare persone
dalle quali poi rubare qualcosa e fino ad ora posso davvero ritenermi
fortunato; in questi viaggi ho avuto la fortuna di essere accompagnato, anche
solo per poco, nella maggior parte dei casi, da persone che mi hanno sempre
donato tanto; parlo di persone coraggiose, curiose, tenaci e che ricorderò per
sempre. Alcune di loro non possedevano nemmeno un paio di scarpe, sono state
frustate, mandate via dalla propria terra oppure hanno tagliato la canna da
zucchero per cinquantatré anni in condizioni disumane. Altre hanno donato
interamente la propria vita al prossimo (penso a tutte le Sisters incontrate in
piccoli villaggi sperduti in Africa). Grazie a loro, oggi, credo sempre più chi
i ragazzi abbiano bisogno di esempi da seguire, che per me vuol dire persone da
scovare… nella casa di fronte o nel continente più lontano non ha importanza...
e sono davvero convinto che le persone più umili e spesso più povere siano le
più generose… siano quelle.
Persone cioè in grado di
colmare la vita… di vita!
Voglio concludere facendo
una piccola osservazione in merito alla mia professione (infermiere).
Le mie brevi esperienze
come volontario internazionale nel mondo mi permettono di considerare una
questione del mio lavoro poco
dibattuta e analizzata.
In generale succede che
le associazioni Onlus e ONG, che lavorano nell'ambito della cooperazione
internazionale, per necessità di mantenimento o supervisione dei propri
progetti, offrono ai giovani diverse opportunità per inserirsi
professionalmente nel mondo della cooperazione internazionale.
Le figure di riferimento
più ricercate sono i project manager, i desk officer, i logisti (sempre più
ricercati e fondamentali), i collaboratori, i tecnici specialisti, i
supervisori ecc. ma non l’infermiere!
L’associazionismo, mi
viene da pensare, si dimentica o non conosce il vero ruolo dell'infermiere; se
fosse consapevole della reale potenzialità di cui questa figura dispone,
sicuramente sarebbe una delle principali figure professionali più ricercate.
Peccato. Non parlo solo di quelle azioni legate al prendersi cura della
persona, all'assistere l'individuo nella sua praticità (tutte azioni che fanno
parte del nostro DNA e della nostra quotidianità), mi riferisco anche a compiti
gestionali, legati alla formazione, alla supervisione, al management, alla
relazione... perché l'infermieristica è tanto ma tanto altro (e noi
infermieri lo sappiamo bene!). Sono sempre più convinto che la professione infermieristica può ricoprire
un ruolo fondamentale nell'ambito della cooperazione internazionale
per diversi motivi.
Il primo deriva dalla
formazione universitaria: oggi l'infermiere riceve nozioni di demo-etno-antropologia,
diritto, bioetica, deontologia, economia sanitaria, management, ed ha
l’opportunità di frequentare master molto specifici legati alla cooperazione. Il
secondo aspetto da considerare è il codice deontologico in perfetta
sintonia con la dichiarazione universale dei diritti umani.
Infine non si può
trascurare il terzo motivo: il profilo professionale (d.m.739/94).
Tutti riconoscono
l’infermiere un professionista (intellettuale, competente, autonomo) e
forniscono all'infermiere i necessari strumenti per essere protagonista nei
Paesi in via di sviluppo.
A mio avviso inoltre esiste
un legame molto importante e avvincente tra la professione infermieristica e la
disciplina antropologica, legame da non sottovalutare nell'ambito della
cooperazione internazionale (oltre che nella pratica comune di tutti i
giorni).
Antropologia e nursing
sono annesse una con l'altra ed entrambe sono in perfetta armonia e sintonia
con lo studio e la cura dell'uomo in senso olistico; si rivolgono all'essere
umano, alla famiglia, al gruppo e alla collettività.
Il prendersi cura
infermieristico possiede la particolarità di poter meglio raggiungere
l’individualità dell’uomo, più di altre professioni, proprio perché sono
fondate sulla comprensione dei bisogni primari e assistenziali, oltre
ovviamente a quelli di tipo sanitario per tali motivi l'infermiere possiede
quella giusta preparazione per assicurare l'attenzione necessaria, nell'ambito
della cooperazione internazionale, a garantire quell'approccio
"micro", attento alle singole iniziative, alla mobilitazione delle
risorse locali, tutto questo per operare insieme per il raggiungimento di un
fine comune, che possa essere il più possibile adeguato, fattibile, realizzabile,
efficace ed efficiente.
L'infermiere può quindi
essere utilizzato nella cooperazione internazionale per molteplici motivi: può
essere utilizzato nella formazione (è un dovere morale ed etico condividere il
sapere che abbiamo; fornire i giusti strumenti conferisce dignità e rispetto
alle persone e dà loro la possibilità di avere qualcosa su cui basarsi per
riscattarsi), può risultare fondamentale nella supervisione,
nell’organizzazione, nella relazione, nella mediazione.
Inoltre oggi l'infermiere
non solo ha la grande possibilità di gestire l'intera sequenza delle fasi di
pianificazione, analisi, formulazione, gestione e valutazione di un intervento
di sviluppo (parliamo di PCM – Project Cycle Management) ma, grazie a
specifici master universitari, ha l’opportunità di specializzarsi e costruire progetti valutabili
nell’immediato o a lungo termine.
Ho sempre vissuto le mie
esperienze nei Paesi in via di sviluppo approcciandomi sempre con grande
rispetto, grande profondità, osservando molto e cercando di non cadere mai
nelle famigerate trappole etnocentriche (spesso non riuscendoci!). Chi lavora
nell'ambito della cooperazione internazionale sa bene quanto essa sia piena di
contraddizioni, di difficoltà, speculazioni e soprattutto errori, ma sa anche
quanto sia fondamentale e gratificante riscoprire il valore della solidarietà
umana intesa come relazione di fiducia, rispetto, riconoscimento dell’altro e
dei suoi valori, rapporto di giustizia, di aiuto e di interesse reciproco
per il bene e la
crescita comune e la convivenza pacifica.
L'infermiere può mettere
in atto tutto ciò.
L'infermieristica non è
anche tutto questo?
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