Questo blog è nato una ventina di anni fa! Ha fatto a cazzotti con i primi guestbook, i primi "siti", con i vari forum ed oggi è bullizzato dai social molto più "veloci" e alla moda.. ma tutto sommato, nonostante mille cose successe, qualche cicatrice e gli acciacchi del tempo, rimane ancora in piedi! Respect!

11 dicembre 2013

Come ieri!

“E’ morto?!”

Si, lo ammetto, ci sono rimasto davvero male quando una mia amica infermiera mi ha aggiornato sullo stato di salute di un uomo conosciuto il giorno prima grazie a poche righe lette sul giornale locale: parole testimoni della visita ai pazienti di alcuni bambini accompagnati dalle loro maestre. Il giorno dopo le avevo chiesto di lui, perché sapevo che era ricoverato nel suo reparto…

Parole che mi avevano toccato molto e che dicevano più o meno così:

<< Questo per me è un momento di vera rilassatezza, finalmente qualcuno che non entra in stanza per chiedermi come sto. E come dovrei stare? Come ieri! Questi bambini non chiedono nulla, ma ci stanno dando tanta allegria >>

A volte, per noi che lavoriamo in ospedale, le parole non hanno tempo, ci scappano via o sono tutto. Altre volte rimangono intrappolate nei pensieri, nella mente, così tanto presa a fare altro che si finisce per dimenticarsele, per poi ritrovarle a casa, durante una doccia bollente o la cena.
Altre volte vanno pesate, dosate, somministrate.

Ma, credetemi, in qualche altro caso, le parole non si trovano proprio, non escono e, quasi terrorizzate, si arrestano in bocca, per poi fare a pugni tra di loro...

Come quando una domenica mattina, cinque minuti dopo aver montato il turno, il mio medico mi chiese di dimettere il ragazzo in fondo al corridoio, con indosso un cappellino e disteso sulla barella. 

- Dagli un po’ di colazione, togli l’ago e poi le carte sono qui, è dimesso... - .

Va bene doc.

Mi avvicinai a lui salutandolo; gli chiesi se fosse riuscito a riposare. Mi disse con tono basso di si.
Gli tolsi l’ago e gli consegnai le carte spiegandogli due cose…

“Non mi riconosci?” mi chiese improvvisamente.
(Le parole si arrestano in bocca)
“Ti aggiusto la bicicletta ogni tanto…“
(Le parole fanno a pugni)

“Scusa, non ti ho proprio riconosciuto” gli dissi a testa bassa.

Rabbrividii.

Cercai frettolosamente di capire cosa mi stesse urtando così fortemente in quel momento da farmi sentire una merda. Cosa mi stava sfuggendo? Chi stavo dimettendo veramente?

Stavo dimettendo un ragazzo della mia età segnato dalla sesta chemioterapia e scavato in viso, senza più un capello e magrissimo. Nella notte si era sentito male.

Avvenne tutto in un attimo, poco dopo la mente si schiarì: lo riconobbi!

Qualcuno qualche giorno prima mi aveva parlato di lui: si diceva che gli avessero diagnosticato un cancro.
In effetti in officina non l’avevo più visto.

-Scusa, non ti ho proprio riconosciuto- gli avevo detto a testa bassa.

Non poteva essere lui.

“Ci credo” mi rispose triste.

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